mercoledì 18 dicembre 2013

Undici racconti - Cronache da un paese ipotetico

Come promesso e anticipato il mese scorso, ecco qui Cronache da un paese ipotetico, raccolta di racconti in cui si legge della sorte di una rana, di alcune misteriose note a margine degli Arcana Coelestia, di un litigio tra divinità in disarmo, di un capitano e del suo prigioniero, di un'afasia selettiva, di un pesce rosso esistenzialista, di una bambina lunga e pazza, di un inedito Borges e di molto altro ancora.

A parte La divina, Il contagio e Il nome dell'elefante, che sono passati più o meno fugacemente in questo blog (Il nome dell'elefante anche su www.storie.it), il resto viene pubblicato oggi per la prima volta.

Undici
  1. Le parole perdute del signor Marinucci            
  2. Il contagio                                                                 
  3. La divina                                                                  
  4. La Rana                                                                     
  5. Il nome dell’elefante                                                  
  6. Ripresa                                                                    
  7. La pornografia delle grandi domande                       
  8. La sorte verde                                                           
  9. Il fiore                                                                       
  10. Cronache da un paese ipotetico                               
  11. Breve storia di una storia breve                              

Potete leggere liberamente o scaricare il pdf da Dropbox cliccando QUI.
(dimensioni: circa 2 MB, 175 pagine)

Cronache da un paese ipotetico è rilasciato sotto licenza Creative Commons 3.0 - Attribuzione, non commerciale, non opere derivate.

edit: link corretto, ora dovrebbe funzionare.




martedì 17 dicembre 2013

Il punto della situazione

Riassunto della situazione in Italia.

Tema: dopo aver correttamente definito i concetti di mercato comune, sistema monetario, democrazia rappresentativa e avere esposto il senso del concetto di "modello scientifico" e i suoi limiti applicativi e teorici, il candidato svolga un'analisi macroeconomica sulla crisi del postfordismo, tenendo conto dei paradigmi della teoria marginalista; elenchi, motivandoli, i suoi motivi di critica sistematica al modello neoclassico. Se lo ritiene pertinente scriva una breve trattazione sugli aspetti tecnici, economici e politici del problema energetico. In un secondo momento, il candidato si occupi dei problemi intrinseci e contingenti dei modelli di rappresentanza, in riferimento ai lavori di Hobbes e Rousseau, ripercorra i cardini del dettato costituzionale e accenni al teorema dell'impossibilità di Arrow. 
Opzionale: il candidato elabori una prospettiva storica, sociologica e critica della diffusione dell'informazione, con citazioni ragionate ed esaustive dell'opera di Chomsky, Shannon e Lumet.

Svolgimento: tutti a casaaaaaa!!!!!1! Vaffanculo!!!1!11

lunedì 2 dicembre 2013

Sonetto del tempo perduto

Sonetto del tempo perduto

“Che fu del tempo?” saggiando un biscotto
chiese pensoso quel noto francese.
“Si dilatò, però tutto dipese
da quanto alla ‘c’ restammo di sotto” 

fecero Lorentz, ed Einstein d’un botto.
“Non son d’accordo” chiosava cortese
l'immane prussian, “ritengo palese
che sia concetto a priori prodotto”

E quindi Heidègger s’alzò furibondo
“Chi può del tempo dar nome o dimora?
L’essere, il vero, è questo il dilemma!”

“Certo” fe’ Proust, conservando la flemma
“Ma ad Albertine ho suonato da un’ora
E ha detto sta’ lì, son giù tra un secondo.”




©ET 2.12.13

mercoledì 27 novembre 2013

La torta di mele del signor Vannino

Per il compleanno del piccolo Tommaso, la Mamma decise che avrebbe voluto fargli trovare sulla tavola una bella torta di mele.
"Non ci so proprio fare in cucina" si lamentò con un'amica "Sapresti mica dirmi dove trovare un buon pasticcere?"
"Per la torta di mele, il migliore sulla piazza è il signor Vannino!" esclamò l'amica "Lo dicono tutti: hanno fatto anche un servizio alla tivù!"

La Mamma, allora, prese con sé Tommaso e - dopo qualche peripezia per trovare l'indirizzo - si presentò davanti alla pasticceria del signor Vannino.
Non sembrava davvero una pasticceria, a vederla da fuori: uno scantinato buio, con un leggero odor di muffa; ma tutti parlavano bene del signor Vannino e quindi la Mamma entrò.

Fu lo stesso signor Vannino a riceverla.
"Ma prego, prego signora" disse, salutandola calorosamente. "Entri nella mia umile bottega."
Era un ometto scapigliato, molto loquace, con uno sguardo magnetico che ispirava fiducia.
"Lei è qui per la mia famosa torta di mele, immagino"
"Per il compleanno di mio figlio" disse la Mamma, spingendo avanti il piccolo Tommaso e dicendogli di salutare educatamente il signor pasticcere.
"Eccolo qui il nostro piccolo campione!" fece il signor Vannino, inginocchiandosi e accarezzando il bimbo. Poi, una volta rialzatosi, chiese alla Mamma: "Per quando le serve? S'intende che il pagamento è anticipato"
"Oh, si figuri" disse la Mamma, mettendo mano al portafogli "È per sabato prossimo. Una torta per otto persone. Quanto le devo?"
"Duecentoquaranta euro" rispose il signor Vannino.
La Mamma trasecolò. "Duecentoquaranta? Per una torta di mele?"
"Quelli sono i prezzi, signora. Purtroppo come la faccio io non la fa nessuno. Sa, ho perfino depositato una domanda di brevetto in America! Guardi la foto della mia torta, guardi che bella!" e le sventolò sotto il naso una fotografia nella quale troneggiava una sontuosa torta di mele.
La Mamma si zittì, tutta impressionata.
"Ma, mi dica" fece poi, intanto che il signor Vannino s'era messo dietro il banco con aria trionfale "che cosa ci mette dentro?"
"Ma signora! È segreto professionale!" s'offese lui.
"Oh suvvia" lo implorò la Mamma.
"Ci sono le mele. Il resto è nei brevetti, vede..." abbozzò il signor Vannino.
"Segue una ricetta complicata?"
Il signor Vannino assunse un'aria scandalizzata. "Ricetta? io? Ma per chi mi ha preso? Per uno di quei buffoni usciti dalla scuola di pasticceria, tutti uguali, tutti bravi solo a parlare, che non saprebbero fare una spremuta d'arancia se non gliela spiegasse un libro?"
"Ma ce l'avrà una ricetta sua, inventata da lei" disse la Mamma. Il piccolo Tommaso, con gli occhi spalancati, seguiva la scena senza capire.
"La mia ricetta è la mia ricetta!" sentenziò il signor Vannino.
In quel mentre, una vecchietta tremolante era entrata nel negozio e si guardava attorno con circospezione. Incuranti di lei, la Mamma e il signor Vannino continuavano a discutere.
"Ci metterà della farina, del burro… no sa, è per chiedere, perché io non sono pratica, ma siccome Carlo, il cuginetto di Tommaso, è allergico alla frutta a guscio, non vorrei mai che…"
"Signora" si spazientì il signor Vannino "Lei dubita di me."
"No, no" si affrettò a rassicurarlo la Mamma "Non dubito, è che vorrei capire. Sa," aggiunse, provando uno sguardo d'intesa "Sono pur sempre una mamma".
"Ma sì, guardi. Uova, farina, burro, mele… il procedimento non glielo spiego, ma se proprio insiste" e alzò gli occhi al cielo "Il mondo è pieno di ricette di torte di mele: se non si fida della mia, vada a leggersi quelle. Piuttosto, la vogliamo ordinare questa torta? Non lo vede che il bambino ci tiene? O gli vogliamo far fare un compleanno senza il dolce?"
Il piccolo Tommaso, chiamato in causa, si mise a frignare.
"No no, amore di mamma, adesso la mamma ti compra la torta." si affannò la Mamma, asciugandogli le lacrime.
La vecchietta tremolante, che fin lì se n'era stata in silenzio nella penombra, a quel punto si intromise.
"Signora, mi scusi se mi permetto"
Il signor Vannino la vide e sbottò: "Ah, rieccola. Sa, signora" fece, rivolto alla Mamma "Sa chi è questa vecchia? È una vecchia pasticcera, vecchia rimbambita, invidiosa del mio successo, che ogni tanto viene qui a togliermi l'anima con le sue lamentele. Non la badi, torniamo a noi."
Ma la vecchia aveva afferrato garbatamente la Mamma per un braccio. "Dia retta a me, signora" bisbigliò "Questo è un ciarlatano."
"Ma è pieno di clienti" obiettò la Mamma, che intanto continuava a guardare di sottecchi il signor Vannino temendo che se la prendesse a male e non le volesse più preparare la torta.
"È pieno di clienti perché è bravo a raccontare storie, come tutti i ciarlatani."
"I miei clienti sono tutti felici e soddisfatti!" urlò il signor Vannino. "Li hai mai visti, tu, vecchia?"
"Alcuni tuoi clienti hanno avuto la diarrea, dopo aver mangiato la tua torta di mele! Una volta ti hanno chiuso il negozio i carabinieri, per quanto era sporco! Ci sono le denunce! C'è l'inchiesta!" lo rimbeccò la vecchia, che adesso sembrava molto meno tremolante.
"Calunnie! Calunnie! È un teorema volto a screditarmi, opera di pasticceri rancorosi e critici prevenuti!" si inalberò il signor Vannino.
La vecchia rivolse il capo verso la Mamma e continuò: "Ha visto la foto di quella che dice essere la 'sua' torta di mele? La fa vedere a tutti. Be', non ci creda mica signora: guardi qui" ed estrasse un libro dalla borsetta "Questo è un libro di ricette russo, peraltro poco rinomato. Lasci perdere le scritte, ma la foto, questa, la riconosce?"
E il dito nodoso e ossuto della vecchietta indicò una fotografia di una torta di mele, uguale precisa a quella che aveva mostrato il signor Vannino.
"È la ricetta della mia amica Olga!" sbraitò l'uomo "io ci ho lavorato insieme, con la mia amica Olga, anni fa."
"Non gli dia retta, signora!" s'infervorò la vecchietta "questo lazzarone non ha la minima idea di come si faccia una torta di mele. La torta della sua amica Olga, come la chiama lui, è fatta con un altro tipo di farina, un altro tipo di mele e un altro tipo di forno. E non è nemmeno un granché! Vannino ha copiato di qua e di là, ma metà delle volte la torta gli si brucia, e l'altra metà delle volte non si sa che cosa ci metta dentro, a parte le mele! La Federazione Internazionale dei Pasticceri, l'Accademia di Cucina e tutti i più rinomati pasticceri specializzati in torte di mele hanno dimostrato che è una frode culinaria!"
La Mamma era atterrita. Tommaso aveva smesso di frignare.
"Vecchia maledetta, dillo perché sei qui: perché odii i bambini!" disse il signor Vannino.
"Non sei nemmeno un pasticcere! non hai la licenza!"lo rintuzzò la vecchia, visibilmente scandalizzata.
La Mamma trasalì. "Quel che dice la signora è vero?"
Il signor Vannino fece spallucce: "Sono un geometra. Ma che importa? Le stavo appunto spiegando che anni fa andai in Russia a trovare la mia amica Olga, e assaggiai una torta di mele. Da allora mi sono dato il compito di portare in Italia e al mondo le torte di mele più buone che ci siano, per la gioia di grandi e piccini."
"Senza ricetta! Senza garanzie!" strillò la vecchia.
"La gente si fida di me" tagliò corto il signor Vannino.

La situazione s'era già fatta tesa, quando nel negozio irruppero quattro o cinque Comari. Quella che le capeggiava, un donnone dai capelli grigi, si mise a gridare fuori dalla porta: "C'è una donna che non vuole comprare la torta di mele a suo figlio!"
Strepiti e urla riecheggiarono per la strada.
"Vuol far piangere il bambino!"
"La vecchia, la vecchia, dev'essere tornata la vecchia!"
"Chi vuol far del male al signor Vannino?"
"Nessuno deve parlar male delle torte di mele del signor Vannino!"
"Bruciate quella vecchia maledetta!"
"Signora Mamma, signora Mamma! Comperi la torta! Non lo vede che il bambino la vuole?"
"Abbiamo diritto alle torte del signor Vannino!"
"Vannino! Vannino!"

Fu il delirio. Accorse altra gente, fino a che non solo la bottega, ma tutta la strada fu brulicante di persone che chiedevano a gran voce torte di mele per tutti.
"Pagherà la signora! Oppure la vecchia, così impara a gettare discredito sul nostro pasticcere!"
"Evviva le torte del signor Vannino!"
Urlavano come ossessi. Arrivarono le radio e i giornali e le televisioni. In breve tempo il signor Vannino avrebbe avuto ordinazioni di torte di mele per almeno un anno di fila.
La vecchia venne afferrata dalle Comari ed ebbe il suo bel daffare a cercare di difendersi, ma era chiaro che avrebbe avuto la peggio. In tutto quel trambusto, Tommaso piangeva disperato. La Mamma non sapeva che fare.

Il signor Vannino contemplava la scena sorridendo.

lunedì 18 novembre 2013

Undici. Il trailer.

Il mese prossimo sarà disponibile per il download il pdf di Undici, raccolta di racconti. A breve maggiori informazioni.

Questo è il trailer che potete vedere su YouTube e diffondere urbi et orbi.

Restate intanto in fremente attesa.

giovedì 7 novembre 2013

Nomi e cognomi

Era un vizio che, finché nomi e cognomi di tutti noi si ritrovavano soltanto nella grande pangea onomastica degli elenchi telefonici, non aveva avuto modo di manifestarsi.
Se ti chiamavi Mario Rossi e volevi darti un segno di distinzione dagli altri Mario Rossi, il massimo che potevi fare era chiedere di essere indicato come "Dott. Mario Rossi", o "Ing. Mario Rossi" o simili, sempre che il titolo corrispondesse.
Per i più altisonanti, "Cav. Mario Rossi".
Ma rimanevi Mario Rossi. O anche Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, ma perlopiù senza altri orpelli oltre a quelli con cui eri registrato all'anagrafe.

Costituzione della Repubblica Italiana, art. 22 
Nessuno può essere privato, per motivi politici, […] del nome.

Ecco, appunto. Non c'è scritto che devi per forza metterci dell'altra roba dentro. Invece adesso è tutto un fiorire di aggiunte. Mica parlo di pseudonimi: se ti chiami Mario Rossi e tutti gli amici ti chiamano Cicciaruzzo Metal, mi va benissimo che tu prenda la tua pagina Facebook e la intesti a Mario Rossi Cicciaruzzo Metal o anche solo a Cicciaruzzo Metal e tutti sapremo che sei tu.

Invece ho visto che ci sono un sacco di tendenze. Per esempio c'è quella ideologica alimentare: ti chiami Mario Rossi e sei vegano. Allora devi scrivere Mario Veg Rossi, così già dal nome tutti lo sapranno.
Ma che razza di esibizionismo è? Ma s'è mai vista roba tipo
Mario Onniv Rossi
Mario Celiac Rossi
Mario Intolleranteallatt Rossi?

O la tendenza religiosa-ideologica.
Mario 5 Stelle Rossi.
Mario Camerata Rossi.
Magdi Cristiano Allam.

Sempre per sottolineare un estremismo, una radicalità: presentatemi Mario Socialdemocraticocomenelnordeuropa Rossi e cambio idea.

Oppure, la tendenza professionale-artistica-culturale, ove la professione non prevede l'iscrizione a un albo o roba simile, ma è solo un modo di tirarsela. Per dire, "Mario Rossi commercialista" va bene.
Esempi di vita vissuta?
Mario Rossi, filosofo.
Come, prego? S'è mai visto Immanuel Kant - sempre che fosse su Facebook - scrivere Immanuel Kant, filosofo? Al massimo su LinkedIn…
C'è bisogno di dirlo, che sei filosofo? Non dovrebbe trapelare da quello che scrivi?
O ancora, Mario Rossi, poeta. Mario Rossi, scrittore. Mario Rossi, artista. Mario Rossi, cittadino (che dev'essere lo stesso Mario 5 Stelle Rossi di prima).

Io capisco che magari ti chiami come un'altra persona che è diventata celebre per motivi diversi e vuoi distinguere la sua personalità dalla sua, così riterrei accettabili denominazioni quali
Luigi Pirandello, fonico
Antonio Vivaldi, piastrellista
Enrico Fermi, esegeta biblico
Karl Marx, junior recruiter.

Ma non è il caso del nostro Mario Veg 5 Stelle Rossi Artista Filosofo.
(segue autoscatto con aria sofferta-maschioalfa-intellettuale-cafona)

Qualche etologo mi spiegherà che è la manifestazione di un carattere sessuale secondario, come la coda del pavone, insomma è tutta pubblicità per vendersi meglio sul mercato delle opportunità, oppure arriveranno gli antropologi a dirmi che la scelta del nome da adulto come segno del raggiungimento dell'identità e del riconoscimento dell'animale guida eccetera eccetera, caro signor Mario Veg 5 Stelle Rossi Artista Filosofo Scoiattolo Mannaro, e prova a trovare un nome del genere sul tuo barattolo di Nutella, tu che per noi resterai sempre Cicciaruzzo Metal.

Però a me tutto questo pare ridicolo, ecco.

domenica 27 ottobre 2013

Take a walk on the wild side


Asocial Network

Legge della non compensazione semiotica, o della non cogenza strutturale dell'ideogramma: 
Infarcire un messaggio di  e  non aumenta la consistenza di un'argomentazione contenuta in quel messaggio.

Lemma della non persistenza semantica di segni riconducibili ad alfabeti cuneiformi:
Una giustapposizione di punti esclamativi non ha valore intrinseco ed è in genere un fastidioso pleonasmo, a prescindere dall'importanza di ciò che volete enfatizzare!!!!!!!

Legge dell'invarianza pittografica:
Qualsiasi sia il filtro artistico che applicate ad una foto quadrata, i vostri piedi rimangono i vostri piedi.

Legge statistica sulla mancata lungimiranza dei fratelli Lumière e sull'involuzione di Eugenio Scalfari:
La maggior parte dei video su Youtube non vale nemmeno la pena di essere citata sulla colonna di destra della homepage di repubblica.it.

Congettura sull'intollerabilità memetica:
La condivisione sistematica e acritica dell'immagine di un cucciolo con grandi occhi è comunque più sopportabile del dilagare del concetto di cupcake.

Assioma della compulsività aforistica:
Non sempre un ragionamento profondo o un fatto complesso possono essere riassunti efficacemente in 140 caratteri, anche se a volte può essere un invito ad approfondire l'argomento su altri canali.
Esempio: Natasha ama Andrej, lui muore in guerra e lei sposa Pierre. Intanto Kutuzov sconfigge Napoleone, ma è il popolo che fa la storia. #guerraepace

lunedì 7 ottobre 2013

La seconda che hai detto

Allora, ho delle domande. Alcune nascono dal fatto che vivo da anni senza televisione in casa, altre invece sono domande così, più fondamentali, come quelle che si fanno i filosofi dopo aver mangiato pesante, come il tizio in Aut Aut di Kierkegaard che deve decidersi tra la vita etica e la vita estetica.

(spoiler: Kierkegaard gli fa tutta una storia dicendo che la vita estetica sì, però quella etica, vuoi mettere.)

(scrivo tante domande diverse e poco religiose così sto abbastanza sicura che poi non mi telefona il Papa per rispondermi, ché al telefono io mi imbarazzo e faccio sempre scena muta anche se mi chiama Tecnocasa)

(mi interessa il senso profondo di tutto ciò, per la parte ovvia posso vedere su Google o su Wikipedia come gli arguti tuttologi da bar)

(o da social network o da blog di Beppe Grillo)

Le domande:

Chi è Chef Rubio? Perché i concorrenti dei telequiz non conoscono i congiuntivi anche se sono studenti universitari? Perché è possibile che in una facoltà di Lettere ci siano indirizzi che non prevedono il latino? Ma su MTV mandano ancora video musicali? Perché Philip Roth non ha mai vinto il Nobel? Che senso hanno le riviste femminili? Perché in quanto portatrice di utero e ovaie dovrei interessarmi di omeopatia, oroscopi e corna altrui? Che cos'è il vino biodinamico? A cosa serve davvero Twitter? Perché ai matrimoni regalano sempre bomboniere che non sai mai dove mettere? Chi sono quelli che "ballano con le stelle"? Dove dormono, la notte, i venditori della Folletto e i Testimoni di Geova? (questa è un po' una domanda da giovane Holden, come le anatre di Central Park) Quand'è che Jovanotti è diventato un'icona culturale per la sinistra? Che cos'è la sinistra? Che cos'è un clafoutis? È vero che ogni numero pari maggiore di due può essere scritto come somma di due numeri primi? (questa era difficile) Perché gli anziani dotati di un conto corrente non si domiciliano la pensione e le bollette e si recano invece all'ufficio postale tutti insieme proprio quando ci devo andare io? Perché Facebook mi consiglia pagine dove non andrei mai nemmeno se mi pagassero? Che cos'è un apericena? Perché l'inventore di questo neologismo non è stato fustigato sulla pubblica piazza, non per deterrenza nei confronti di altri improvvidi neologisti (Beccaria se ne dispiacerebbe), ma per crudo appagamento di una sete di vendetta? Perché quelli che si chiamavano fuseaux, e prima ancora pantacollant, adesso devono essere chiamati leggins, senza che siano cambiati gli accidenti e nemmeno la sostanza? Chi è Miley Cyrus?


Poi volendo si può anche parlare di vita etica e vita estetica.

venerdì 26 luglio 2013

Il sonno della pianta del cappero


Non è una roba frufrù da leggere sotto l'ombrellone, però insomma, ha del brio, ha delle parti che invece no, niente brio, contiene una dose tutto sommato sopportabile di ruffianeria, il colpevole non è il maggiordomo e ci sono addirittura delle cifre stilistiche rivoluzionarie come l'uso del punto e virgola.

Il titolo è Il sonno della pianta del cappero e il perché è scritto nella postfazione (che è quella paginetta in fondo che si può leggere anche all'inizio).

Questa è, in breve, la trama:
Il Poeta, colto e malinconico letterato sulla soglia di una crisi di mezza età, scompare all'improvviso dalla circolazione. Tocca a Giovanni, suo vecchio amico che non lo vede da anni, e a Mimì, che del Poeta è stata un tempo amante e musa, mettersi sulle sue tracce per consegnargli un'eredità irrilevante, lascito di un conoscente morto anzitempo. Giovanni e Mimì si muovono in giro per l'Italia attraverso una selva di personaggi improbabili, in quella che è allo stesso tempo la ricerca di un poeta scomparso, la scoperta del suo amore per la letteratura e la cavalcata attraverso ricordi e progetti abbandonati. Su tutto aleggia il motivo della grande crisi del Poeta: scrivere almeno una volta in vita sua una vera e propria commedia brillante nonostante tutti, o quasi, siano profondamente convinti che non ne sarà mai in grado.



Scritto nel 2012-2013, rilasciato sotto licenza creative commons 3.0 attribuzione - non opere derivate - non commerciale, che vuol dire che lo potete leggere gratis ma senza manipolarlo per farci altre cose (...) o rivenderlo, e che lo potete diffondere su ogni mezzo vi venga in mente, a patto che specifichiate la fonte, ossia che l'ho scritto io e che il mio blog è questo. 

365 pagine e prezzo politico euro zero, che c'è crisi. 

Si scarica il pdf cliccando qui e seguendo le indicazioni che vi fornisce il signor Mediafire.

martedì 23 luglio 2013

Loffa continua

(post polemico)

Ho fatto un sogno bellissimo in cui essere di sinistra voleva dire smetterla di incarnarsi in una serie di bimbiminkia che sembrano usciti fuori tempo massimo dalla facoltà di Sociologia di Trento, gente astuta che si fa spiegare gli OGM da Jacopo Fo (nulla contro Jacopo Fo, ma io riterrei più affidabile il parere di un biologo), che si identifica con i cuccioli teneroni, il cui essere contro il sistema si traduce nell'agghindarsi a brutta copia di Andrea Scanzi e urlare due slogan in rima baciata e metro incerto, e soprattutto che, manifestando una fumosa predilezione per la cultura umanistica con un'insofferenza quasi crociana per il metodo scientifico, ha degradato l'umanesimo stesso a una buffonata premasticata, la cultura classica a bigiotteria intellettuale, roba che il povero Leopardi si butterebbe giù dalla vetta della torre antica per la disperazione.
In questi casi esce il Joseph De Maistre che vive, sopito, in me; sbraito contro la plebe e poi mi viene l'acidità di stomaco.

Ora mi domando: prima che qualcuno mi dica che l'alternativa è Renzi, meritandosi con ciò tutte le mie invettive rimaste che gli scaglierò contro come Enrico Toti la famosa stampella, posso almeno mettere il Maalox in conto a questi inutili, chioccianti, queruli figuri?

giovedì 27 giugno 2013

Shakespeare in Math


Ipotesi di Shylock
Sia X = {x t.c. x ha occhi, mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni}
Dimostrare che se y è ebreo, allora y ∈ X.

Lemma di Riccardo III:
Proposizione P: siano R={r : r è un regno}  C={c : c è un cavallo}; allora ∃ f:R → C t.c ∀r ∈ R  ∃c ∈ C t.c. c= f(r)
La proposizione P è falsa.

Teorema di Lady MacBeth
Sia M lo spazio denominato “piccola mano”.
Sia Β la famiglia di insiemi di balsami Bn d'Arabia in grado di profumare M.
Teorema: B non è un ricoprimento per M.

Congettura di Amleto:
non(E et nonE)?






(salvo errori od omissioni)

lunedì 3 giugno 2013

Realtà e minzione


Ieri siamo andati in gita sul Pollino e, dal momento che ci siamo fermati in un'area di servizio a fare benzina e altri bisogni, e io sono dovuta rimanere in coda davanti ai bagni con l'angosciante compagnia di fanciulle uscite da qualche sogno malato di Maria De Filippi, mi si è sollevata un'annosa questione che da molti anni ormai mi tormenta.

Perché le donne impiegano ore per fare la pipì?

Non parlo di quelle, generalmente molto giovani, che vanno in bagno a coppie.
(Non ho mai capito perché)
O di quelle molto anziane, che escono a frotte dal loro pullman diretto verso il nonsoquale santuario della madonna e varcano le soglie della toilette esattamente un secondo prima che io abbia la possibilità di lanciarmi davanti a loro con tutta la forza della disperazione.
Parlo del generico essere umano femminile, che una volta che scompare dietro la porta "Ladies" non sai mai se e quando ne uscirà.
Ho pensato all'inizio che fosse un problema di tempo percepito, così ho fatto un'importante scoperta filosofica: quando Bergson parlava di tempo interiore e durata, con ogni evidenza aveva formulato la teoria mentre pazientava che si liberasse un cesso pubblico.
Al contempo ho fatto anche un'importante scoperta letteraria: è assai probabile che Marcel Proust prima di scrivere l'opera che lo ha reso immortale icona del Novecento si fosse ritrovato ad attendere l'uscita di Albertine dalle toilettes di tutta Balbec.
Insomma pensavo che fosse un problema di percezione: nel senso che se stai in fila e ti scappa, ma ti scappa tanto, di quelle che ti si rizzano i capelli in testa, allora un secondo ti sembra un minuto, un minuto una mezz'ora, il tempo tutto ti sembra frutto di uno di quei paradossi della relatività generale.

Allora ho fatto un esperimento empirico.

Ogni volta che vado in un bagno pubblico provvisto di almeno due servizi, cerco di entrare nel mio precisamente quando un'altra donna entra nel suo; faccio quel che devo, tiro lo sciacquone, esco, mi lavo le mani, me le asciugo con calma e intanto verifico se il soggetto di controllo per la sincronicità della minzione ha finito prima o dopo di me.
Be', ogni volta, ogni santissima volta, ciclo o non ciclo, quella esce quando ormai io sto fuori da un pezzo e ho le mani lavate e asciutte e ho anche già aggrottato le sopracciglia temendo che sia finita giù per il buco.

Perché?! Perché ci mettono tanto?!
E non dite "Perché si devono sedere": anche io mi devo sedere, o meglio, devo flettere le gambe quel tanto che mi permetta di stare sopra la tazza ma senza toccarla, il che tra l'altro è un ottimo esercizio per rinforzare le cosce (e voi fate zumba e pilates e pagate pure, prrr).

Ho vagliato le seguenti ipotesi:
1. La mia vescica ha una capienza dimezzata rispetto alla Vescica Femminile Standard e quindi, a parità di portata ureterica, ci mette di meno a svuotarsi.
2. La mia uretra sopporta pressioni inusitate, come le pompe di benzina della Formula Uno, per cui il mio Tempo di Svuotamento è effettivamente molto minore del normale.
3. Le donne che usufruiscono dei servizi pubblici hanno tutte la cistite, per cui sono costrette a farla col contagocce.
4. Nelle toilettes femminili accadono cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare.

Ma non ne sono ancora venuta a capo. È una cosa che mi fa impazzire.

sabato 11 maggio 2013

Hasta siempre, Punto Y Coma

Stamattina mi sono alzata dal letto rimuginando più del solito e, mentre sgranocchiavo i miei cereali e mi rovesciavo lo yogurt sulla maglietta, mi è uscito un suono di crudo lamento pensando alla grande vittima della punteggiatura moderna. Non mi riferisco all'abuso dei tre puntini di sospensione, che pure già dopo Céline avevano martoriato le gonadi all'universo mondo, perché sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa; mi straccio le vesti, invece, per le misere sorti del punto e virgola.

Il punto e virgola è dove il discorso si appoggia, prende fiato e continua; il punto e virgola non può essere urlato ed è l'indice di un ragionamento in atto, del fatto che si sta arieggiando il cervello. Sostituitelo con il punto fermo e cosa otterrete? Una mitragliata di pensieri apodittici e sentenziosi, che solo a vederli mettono tristezza. Ah, punto e virgola, che fine ingloriosa, abbandonato tra il ciarpame linguistico come il congiuntivo e l'ipotassi! Scalzato da orde barbariche di "po'" con l'accento, "qual è" con l'apostrofo e "piuttosto che" nell'utilizzo disgiuntivo.

Ormai è un dilagare di punti fermi appoggiati a una oratoria mistica ed evocativa, fortemente moraleggiante. Esempio applicato alla descrizione della mia colazione, in corsivo:

Stamattina. Stamattina mi alzo, i soliti pensieri in testa. Ma forse no, sono pensieri diversi. Là, i soliti cereali. Il solito digrignare di carboidrati tostati e inzuppati in uno yogurt biancastro. 
[qui volendo si possono fare delle allusioni sessuali, che acchiappano sempre una fetta di pubblico]

Un senso di nausea esistenziale mi prende. Un senso di nausea per tutto quello che rappresenta l'abitudine della colazione.
[Naturalmente non è vero, ma anche questo ricalca quel cliché un po' maudit di cui sopra per cui il lettore può immedesimarsi e provare empatia, tanto più che le sofferenze non sono sue]

Penso a quello che mi aspetta. No, cazzo, no.
[L'uso della volgarità gratuita è cifra stilistica vieta e abusata, ma provate a farne a meno e vi guarderanno come un'eroina di Jane Austen che entra in un pub malfamato e il primo che le rivolge la parola è un personaggio di Irvine Welsh]

Penso a cose stupide, come l'ortografia. La punteggiatura. Scuola del cazzo. Cose del genere, ricordi di un'adolescenza, schizzi di memoria, niente, tutto.
[ah? va' che roba moderna!]

Una macchia di yogurt, là, sulla maglia. Come uno sparo, come uno sputo di una notte passata altrove. Sangue della mia abitudine, del mio perbenismo borghese.
[Presto, dei puntini di sospensione!]

Così, mentre la nausea sale
[Non è vero, vedi sopra; e a dirla tutta se la mattina avessi la nausea mi preoccuperei di cose più importanti rispetto a una crisi esistenziale da quattro soldi]

rielaboro tutta la mia grammatica, la guardo come uno straccio vecchio, no, come una struttura di ruggine e bestemmie. Un'architettura morta, la piramide del mio fallimento
[abbondare con le metafore]

come essere umano che una volta voleva la rivoluzione.
[abbondare anche con l'autocompiacimento e la nostalgia, che fanno tanto letteratura d'essai]

Punto. Un solo punto fermo. Un solo punto fermo per tutta la vita. Per tutta la vita.
[Lasciare una riga in bianco, affinché il lettore si senta compreso della tragedia intima e sociale. A proposito di tragedia: pure tu, Melpomene, che brutta fine.]

Adesso quasi quasi lancio una petizione su Change.org per salvare il punto e virgola; se si usasse di più il punto e virgola ci risparmieremmo un sacco di sofferenze letterarie che solo per leggere ti va di traverso tutto il senso del ridicolo.

Hasta siempre, Punto Y Coma.


venerdì 10 maggio 2013

Da qualche parte, in Puglia


Siccome la realtà locale si dimostra talvolta una spigolatura coerente del Grande Tutto, e siccome ogni campanile raccoglie da tempo immemore attorno a sé capitani di ventura e aspiranti signori, il Commendatore è candidato sindaco alle prossime elezioni comunali.

Il Commendatore è figura curiosa e poliedrica: è partito per imbarcarsi sulle navi in gioventù come han fatto molti suoi compaesani, perché il borgo s’affaccia sul mare e dal mare ha tratto sostentamento prima che un’industrializzazione ruspante ne diversificasse l’economia. Rientrato ben presto dalle fatiche marittime, ammiraglio nel cuore e mozzo nei calli, il Commendatore ha preso a parlare dell’avventura con quello che, se avesse conosciuto i riferimenti, avrebbe potuto definire il piglio dell’Achab dell’Adriatico frammisto al destino glorioso di un Horatio Nelson. Come che sia, il Commendatore è tornato sulla terraferma e s’è dato da fare per sbarcare il lunario e ora, oltre che Commendatore e Capitano d'Industria, è anche Barone ed Erede dell'Impero Romano d'Oriente nonché ballerino di Harlem Shake. Lo spirito, s’è capito, non gli difetta; soprattutto non gli manca un’incrollabile fiducia nei propri mezzi. È diventato imprenditore. Ha un certo numero di dipendenti, produce e lavora. Ma tutto questo non può essere sufficiente: ha fatto coniare delle monete con la sua effigie, ha scritto libri su tutto lo scibile umano, ha pensato a rendere degna la propria morte, voglia il Cielo lontana, facendo innalzare nel cimitero cittadino una piccola cappella in stile ionico-littorio sormontata da un suo busto in bronzo e arricchita da una scritta in una lingua che assomiglia al latino, ma soprattutto il Commendatore ha sempre sentito che il Paese ha bisogno delle sue riflessioni e dei suoi consigli e per un certo periodo si è messo a scrivere delle lunghe lettere di scienza politica e tattica spicciola all’unico che riconosceva come interlocutore, l’Altro Imprenditore che s’era fatto da sé, quello brianzolo che faceva le cene eleganti con le signorine scosciate e che aveva tutti quegli amici imbarazzanti. Il Commendatore scriveva dunque al Cavaliere, che bontà sua non gli ha mai risposto; ma il Nostro è convinto che le missive siano state lette e ponderate, perché molte delle mosse politiche di Berlusconi sembravano prendere ispirazione, a suo dire, da quanto gli aveva suggerito. 

È stato recentemente dato alle stampe - una volta si sarebbe detto ciclostilato in proprio, ma adesso c’è il self publishing che dà quel tocco internazionale e non sembra una cosa da sezione della Sinistra Giovanile (fu FGCI, 1921-1998), che al Commendatore poi gli viene l’orticaria a pensare ai comunisti - un libro autobiografico scritto dal Commendatore in persona.
L’epopea d’una vita vissuta per il Lavoro e per la Patria - così mi figuro, non avendo letto il libro - è ora disponibile per arricchire le librerie dei concittadini. E dei dipendenti del Commendatore, va da sé. Fonti anonime raccontano che il Commendatore, in qualità di datore di lavoro, ha infatti caldamente consigliato ai suoi subordinati l’acquisto del libro; comunque, nel caso in cui il dipendente rifiuti, dal suo stipendio verrà trattenuto l’importo corrispondente al prezzo di copertina. 

Nel frattempo la campagna elettorale continua e risuonano gli slogan del Commendatore, compreso un inquietante “una città che lavora è una città libera”, che a me ricorda un po’ certe scritte in tedesco su dei cancelli di ferro battuto. La città è stata tappezzata di manifesti in cui il Commendatore si staglia in piano americano su sfondo azzurro, compunto e assorto, e il motto sul suo simbolo s’imprime nella memoria dell’elettore che vi transita sotto: “Lavoro, Cultura, Diritti”, così come è stato ben riassunto dall’episodio riferito dalle solite voci che raccontano come il costo di un libro (cultura) venga addebitato (diritti) ad un proprio dipendente (lavoro). 
Ma il Commendatore è forte delle sue parole, Egli non ci tradirà, dice; Egli ha ammonito i giovani a restare saldi nelle tradizioni del lavoro e della famiglia, e forgiando la lingua italiana con la stessa intraprendenza con cui ha forgiato la propria vita li ha invitati a matrimoniarsi; Egli ha dalla sua parte l'epica e s’avanza solitario verso il voto primaverile, sfidando la crisi di rappresentanza e l’apparentamento con partiti e movimenti, proponendo come soluzione la sua figura di re taumaturgo del ventunesimo secolo ed eterno paradigma italiano dell’arte di vivere raffazzonando talenti impropri.
Il mare, davanti alla città, assiste tranquillo.

domenica 21 aprile 2013

Quell'ermo Colle


Siamo di ritorno da una serata al Petruzzelli in cui Antonino ed io abbiamo ascoltato Stefano Rodotà, il più acclamato rimpianto che io ricordi negli ultimi tempi, discutere di diritti e di parole come libertà, uguaglianza, fraternità e dignità. Nel frattempo Napolitano veniva rieletto al Quirinale, una manovra del Parlamento per salvare il salvabile, o più probabilmente per salvare se stesso dal significato di quelle parole.

Di Rodotà alla presidenza della repubblica si era già cominciato a parlare un anno fa, prima che Grillo si accorgesse della sua esistenza e prima che le quirinarie, con meccanismi oscuri e con un numero di voti imprecisato, ne subordinassero la scelta a quella dei rinunciatari Gabanelli e Strada.
C'è un'intervista su Left dello scorso 21 luglio allo stesso Rodotà che invito tutti a leggere: si chiama "Svegliati sinistra" e dice cose antiche e belle tanto da poterci costruire seriamente un’ipotesi di futuro: la si trova qui.

Sul suicidio del PD c'è poco da aggiungere, credo, a parte una residua carrettata di schifo.
Un partito decente, considerando che Rodotà era anche un pezzo nobile della sua storia, l'avrebbe proposto in prima istanza senza aspettare che lo scoprisse Grillo. Purtroppo non c'erano i voti per farlo: sono riusciti a bruciare Prodi, il padre fondatore che pure sulla carta aveva l'unanimità dei consensi, figuriamoci che avrebbero fatto con Rodotà. Bisogna solo vedere quanti voti hanno regalato a Grillo con questa genialata: temo moltissimi e temo anche che, per quanti saranno, non serviranno ad arginare il cupio dissolvi che li ha causati.
Bene ha fatto a quel punto SEL a continuare ad appoggiare il giurista; numericamente erano ininfluenti ma almeno hanno salvato la faccia. Per una volta avere una sinistra che non si spara sui piedi è quasi un evento storico. Chissà quando ricapita.

Intanto, mentre Berlusconi ride e la repubblica scivola - almeno per il momento, in futuro chissà - verso un presidenzialismo de facto, come da migliore tradizione aneddotica ci sono una notizia buona e una cattiva: abbiamo un anziano smodato che bada solo a salvarsi dalla galera e ignora i requisiti minimi del vivere civile e democratico, un urlatore col vaffanculo facile che parimenti ignora i requisiti minimi del vivere civile e democratico, qualche centinaio di astute faine pronte solo a vendersi al migliore offerente, un partito suicida con un tasso di idioti superiore alle più fosche previsioni di Cipolla, una buona fetta di personaggi genuflessi al Vaticano per convenienza più che per fede o forse troppo accomodanti con l'illegalità organizzata (la disgiunzione è inclusiva), zucche vuote che a malapena riescono a leggere e comprendere un testo elementare, arroganti e ingenui d'ogni sorta, e poi una manciata di persone perbene ridotte a pensare stizzosamente all'espatrio o ai sacchi di sabbia di fronte alla finestra. Perdonate lo snobismo che trapela inevitabile da queste parole, è una forma di autodifesa, si fa quel che si può. Questa era la notizia buona. La notizia cattiva è che il paese fuori dal palazzo, a parte per l'avere generalmente le pezze al culo, non è diverso da quello dentro al palazzo.

A tal proposito, restringendoci al campo degli esasperati irriducibili ed emendandolo per quanto possibile dal tifo da stadio, posso capire che molti in buona fede si siano aggrappati al M5S come ultima speranza, delusi da anni e anni di malversazioni e colpiti da una crisi economica, morale e di rappresentanza che sembra non avere fine; posso capire in queste condizioni che non vedano o non vogliano vedere i chiari segnali eversivi lanciati dai due guru e che preferiscano sognare una rivoluzione gentile che manda a casa disonesti e cialtroni e li sostituisce con la crema della società civile che finora è stata tenuta nascosta (nascosta molto bene). Sarà una forma di rimozione, di religiosità o di negazione, il supremo tentativo di non ammettere di essere stati buggerati ancora una volta. È umano. 
E disastroso.

© ET 21 aprile 2013

venerdì 12 aprile 2013

Come sovvenzionare pubblicamente l'omeopatia senza mandare all'aria il servizio sanitario nazionale

Poche cose mi irritano quanto il fideismo e la pretesa di spacciare le proprie opinioni (a meno che non siano le mie) per verità possibili anche quando sono fuffa conclamata.
Ci sono molte spiegazioni razionali per questo, per esempio il fatto che sono biochimicamente sensibile, che ho un elevato senso del ridicolo e che ho letto la Critica della ragione pratica in un periodo emotivamente permeabile della mia vita.
Detta caratteristica mi ha alienato le simpatie di molte persone religiose, dei creazionisti, dei complottisti d'ogni risma, di una buona fetta di chi ha votato due personaggi visceralmente populisti, degli ufologi, degli animalisti a oltranza, dei vegani che considerano vegan solo ciò che contiene tofu e non una semplice e appetibile pasta e fagioli ritenuta invece troppo etnocentrica, degli ontologi, degli amanti della musica unzi-unzi, dei pasdaran di Feyerabend e persino di qualche ammiratore di Mark Rothko (ma non tutti).

Stamattina, per completare l'opera e perché il calendario degli estrogeni è in posizione favorevole all'eccesso di verbosità e di stizza, ce l'avevo con gli omeopati.
E precisamente con questo articolo del blog di Guglielmo Pepe su Repubblica che incentiva la diffusione dell'omeopatia pagata dai soldi pubblici secondo la teoria che siccome tanti la usano perché la ritengono efficace, allora bisogna tenerne conto.
Alle repliche - civilissime - degli interlocutori l'autore risponde offeso a morte dicendo che l'omeopatia non è truffa, che gli allopatici fanno di peggio, che bisogna essere aperti, ka$taaaa.
Al momento c'è una sessantina di commenti. Riporto il mio:


Posso capire che l’epiteto di “truffatore” sia insultante, ma ventilare querele per chi ha definito tali gli omeopati non dice nulla sulla validità scientifica dell’omeopatia. Per gli amanti del genere, è quella che i logici chiamerebbero fallacia “ad baculum”, che fa degno seguito a quella “ad populum” utilizzata per giustificare la presunta validità dell’omeopatia, o almeno la sua dignità sociale, con il fatto che un sacco di persone se ne servono, e al “tu quoque” tirato in ballo quando s’è fatto presente che Big Pharma fa anche cose sporche.

Nel tentativo sincero di trovare un modo non offensivo per definire questa pratica, mi chiedo in che modo lo si possa fare tenendo conto dei seguenti fattori:
1. da un punto di vista teorico, l’omeopatia va contro nozioni elementari e acclarate di logica e di chimica: per esempio, senza nemmeno dover tirare in ballo il solito numero di Avogadro, ci si potrebbe domandare perché l’acqua dovrebbe avere memoria proprio della sostanza che vi è stata diluita fino a scomparire, e non anche di tutte le altre molecole con cui è entrata in contatto, a partire da quelle della boccettina che contiene il rimedio omeopatico
2. non esistono studi conclusivi in doppio cieco pubblicati su serie riviste peer reviewed (che non sono la Verità Incarnata, ma sono al momento lo strumento più affidabile di cui possiamo disporre) che dimostrino che i rimedi omeopatici hanno effetti statisticamente superiori al placebo, soprattutto in quanto sono usati per malattie che sono o autolimitanti (omeopatia o meno, in un individuo altrimenti sano l’influenza passa mediamente in una settimana) o a forte componente psicosomatica
3. talvolta vengono spacciati per omeopatici, ossia legati al processo di diluizione e succussione, prodotti che sono fitoterapici e quindi che hanno del principio attivo; si usa poi impunemente il fatto che i fitoterapici abbiano effetti scientificamente misurabili per inferire la presenza di tali effetti anche negli omeopatici strictu sensu, che non ne hanno alcuno
4. da un punto di vista economico, l’omeopatia è un grosso affare per chi la vende.

Ammesso poi che si voglia chiedere, sempre utilizzando la motivazione che “tanti la usano, ha dignità morale”, che se ne debba fare carico la sanità pubblica, mi chiedo secondo quale discrimine si dovrebbe impedire che il sistema sanitario nazionale rimborsi per esempio i viaggi a Lourdes.



Aggiungo infine la mia proposta, perché bisogna anche essere costruttivi. Sono favorevole a finanziare pubblicamente l'omeopatia, purché si tratti di una sovvenzione coerente con i principii dell'omeopatia stessa. Procediamo così: diamo  a un omeopata un centesimo di euro, gli diciamo di diluirlo in acqua una volta, di agitare bene la soluzione, di prendere una goccia di tale soluzione e di diluirla nuovamente e ripetere il procedimento per una trentina di volte. Alla fine gli potremo dire: "ora sei ricco".

sabato 6 aprile 2013

La rivoluzione vaffanculturale

Intervento per il blog Non si sevizia un paperino pubblicato il 5 aprile 2013.

La rivoluzione vaffanculturale

Di ritorno dall’incontro con l’ambasciatore statunitense Thorne il deputato – pardon, cittadino – Massimo Baroni del M5S ha fatto la sua rivelazione alla stampa: “Abbiamo sottolineato che nel nostro Movimento non ci sono intellettuali”.A me qualche sospetto era venuto già da un po’, ma poi mi ero riposizionata il microchip e non ci avevo pensato più fino a che non ho letto questa notizia. [...]


(segue su nonsiseviziaunpaperino.com

giovedì 28 marzo 2013

Cioni presidente


Siccome s’è visto che i politici di professione non intercettano più i bisogni dell’elettorato; siccome s’è visto che anche essere delle persone serie, competenti e oneste non garantisce in sé una maggioranza stabile; siccome s’è visto che i nostri connazionali rifuggono in buona parte le spiegazioni complesse e amano il colpo di teatro, la verve comunicativa, l’istrionismo di una figura carismatica; siccome ho considerato tutto questo, ho una proposta da fare per l'indicazione del prossimo leader del centrosinistra. Giusto per sparigliare un po' le carte. E perché se stai perdendo 1-0 al novantesimo della finale di coppa, tanto vale attaccare senza aspettare che siano gli altri a fare autogol per raccattare un pareggio, andare ai supplementari, fare catenaccio e sperare nei rigori.

Ecco, stante tutto questo, candidate Roberto Benigni.

Va bene, è una provocazione. Ma pensateci un attimo:
1. In quanto a talento comico, rispetto a Grillo non c’è storia. E conosce i tempi e i modi della società dello spettacolo: questo piacerà al popolo televisivo.
2. È un sincero amante di Dante e della Costituzione italiana, e questo piacerà agli intellettuali.
3. Sa strizzare l’occhio ai cattolici con la sua spiritualità.
4. È più a sinistra di Renzi. Non che ci voglia moltissimo. Ha anche preso in braccio Berlinguer (e Veltroni, anni dopo, vabbè.)
5. Parla di gnocca infinitamente meglio di Berlusconi.

Fossi nel PD, un pensiero ce lo farei.


sabato 2 marzo 2013

Le vite parallele


[stavolta un post serio]

Circolano negli ultimi giorni nei social network degli spezzoni di un discorso elettorale di Adolf Hitler nel 1932 in cui il futuro Führer si scaglia contro il sistema dei partiti e sottolinea l’unicità del suo movimento come alternativa inderogabile, come entità aliena che non è passibile di entrare nel gioco delle alleanze perché rifiuta ab origine le regole del gioco democratico. Al netto dei vaffanculo sembra un discorso di Beppe Grillo e quando s’è fatta notare questa sinistra somiglianza i grillini se ne sono avuti a male. C’è da capire la loro levata di scudi: nessun fanatico ammetterebbe mai di esserlo, soprattutto con se stesso, e del resto nel movimento non hanno riposto le loro speranze solo gli esaltati che credono davvero che la biopalla lavi qualcosa, o quelli che hanno incensato Berlusconi fino a ieri l'altro, o che bombarderebbero le sedi di Equitalia; ci sono anche persone che vivono sulla loro pelle la crisi di rappresentanza e che hanno ritenuto che il M5S fosse in grado di mettere in piedi quelle politiche che la sinistra non è stata capace di fare, per colpa, negligenza o spesso per necessità: norme sulla corruzione, sul falso in bilancio, sui costi dell'amministrazione pubblica, sul conflitto di interessi, una nuova legge elettorale e soprattutto interventi sul mercato del lavoro. Concentrati su questi (sacrosanti) obiettivi e in preda a un (legittimo) risentimento nei confronti della classe politica non hanno tenuto conto del fatto che il movimento grillino è intrinsecamente antidemocratico. Per meglio dire: fascista. 

E veniamo al punto del paragone tra il discorso di Hitler e quelli di Grillo.
Il fenomeno Hitler tende ad essere liquidato con la dicitura "pazzo furioso che sterminò milioni di persone e trascinò il mondo nella guerra più sanguinosa di sempre", e parimenti si liquida il nazionalsocialismo. Psicologicamente ciò è comprensibile perché un evento così orribile è difficile da maneggiare, è difficile pensare che è stato prodotto da uomini culturalmente e storicamente così simili a noi che potremmo addirittura essere noi. La reazione è di totale chiusura. Ma con questa rimozione ci si dimentica tutto quello che c'era dietro, anche al di là della banalità del male: la disperazione dei tedeschi che lo votarono convinti che avrebbe posto un freno a disoccupazione e inflazione galoppanti a cui i socialdemocratici non erano stati capaci di ovviare in tempo breve, la volontà di essere unico partito "perché gli altri erano morti e responsabili del disastro", la rassicurazione molto umana di avere un capo carismatico forte capace di incanalare la rabbia e il rancore, la ricerca di un nemico esterno per coalizzare il popolo e distoglierlo dalle proprie responsabilità di crescita civica per cui allora il nemico erano gli ebrei e la finanza internazionale, adesso sono la finanza internazionale e la Merkel; la divisione manichea del mondo in buoni e cattivi, ariani e non ariani, grillini e non grillini, sulla spinta della fallacia della falsa dicotomia, quella del "chi non è con noi è contro di noi"; e ancora, la retorica delirante e violenta, i progetti visionari (date un'occhiata ai vecchi video di Casaleggio, che mescolano sapientemente scenari da Matrix, Orwell e setta religiosa), il rifiuto del compromesso visto non più come necessario arricchimento civile e democratico ma come contaminazione con qualcosa di impuro, la ricerca quasi mistica della salvezza, della palingenesi, dell'ordalia. I punti di contatto sono tanti, e notevolissimi. Poi ogni situazione fa storia a sé e pertanto non credo che rivedremo i campi di sterminio; il nazismo è stato probabilmente un unicum nella storia, ma il fascismo non lo è. È una malattia endemica, autoimmune, che si ripresenta ogni volta che le nostre difese democratiche si abbassano, vuoi per pigrizia o assuefazione, vuoi per condizioni esterne avverse. S'è presentato qui negli anni Venti, rischia di farlo adesso. Riconosciamo allora come oggi la visione della democrazia rappresentativa come depravazione, la semplificazione del linguaggio fino a ridurlo a slogan violenti, la derisione per il pensiero articolato messa in atto tramite la caricatura del cosiddetto intellettuale borghese e tramite l'introduzione di soluzioni ipersemplificate, ai limiti della vaghezza e della tautologia, per risolvere problemi complessi; il rifiuto della critica e dell’autocritica, il trarre sostegno dalla frustrazione delle classi medie, il gridare al complotto internazionale, la tentazione autarchica, e poi naturalmente il populismo, l’assecondare la pancia dell’elettorato e le sue pulsioni primordiali, il "combatti o fuggi" che pure è reazione fisiologica allo stress. Il tutto è stato infine messo a bagnomaria nella cronica mancanza di senso civico italiano e nel campanilismo che riduce la dialettica a tifo da stadio.

Temo quindi che per quanto riguarda la tenuta delle istituzioni democratiche si debba stare attentissimi. La democrazia non è qualcosa di acquisito per sempre e non occorre essere in malafede o stupidi per consegnarsi mani e piedi a un megalomane con velleità dittatoriali: spesso è sufficiente essere disperati e la crisi economica è un ottimo motivo di disperazione. Il problema è che il megalomane con velleità dittatoriali non risolve la situazione: può fornire dei palliativi, certo, può anche ottenere dei risultati nel breve termine, ma a prezzo di toglierci uno dei diritti più grandi, il diritto di essere liberi.

sabato 9 febbraio 2013

Spegnete la luna

Sarà che sono sentimentale, oltre che moralista. Sarà che tra due settimane si vota. Sarà che mi scopro in mezzo a torme di qualunquisti ululanti, fanatici in cerca del guru e squadristi schiamazzanti con la capacità di analisi di poco superiori a quella posseduta da un paramecio, e sarà che non posso fare un metro prima che m'arrivi il prossimo che mi urla nelle orecchie "facciamo-come-l'Islanda-signoraggio-bancario-scie-chimiche-biowashball-fate-tutti-schifo-siete-tutti-morti". Senza contare il resto, tra mafia e promesse da circo Barnum, che c'è da farsi venire la depressione.

Sarà, ma pensavo che gli intellettuali di sinistra dovessero scrivere articoli di fuoco per difendere la parità di condizioni di partenza per tutti, al di là della famiglia di appartenenza, pensavo fosse quello il problema principale contro quale impegnare tutto il fiato che hanno, pensavo che égalité e fraternité non fossero solo parole, invece vedo che schiodano all'unisono il culo dalla sedia solo per difendere la professionalità (anzi: il merito!) dei loro pargoli. Les enfants sont des morceaux de coeur, come si direbbe sulla rive gauche.

Accarezzato il dito e spenta la luna, passerà la buriana e torneranno a dormire, o bene che vada ad occuparsi l'uno dell'ombelico dell'altro e a raccontarcelo in imperdibili elzeviri.

venerdì 11 gennaio 2013

La ricerca del tempo supplementare

Oggi Baricco su La Repubblica ha detto che ascoltare Proust è come veder giocare Messi.

Dissento vivacemente. Messi non ci impiegherebbe centinaia di pagine prima di tirare in porta e mandarla fuori.

martedì 8 gennaio 2013

Mangiapane a UFO

Leggo sull'ottimo blog di Marco Cattaneo su Le Scienze che poco prima di Natale è stata presentata un'interrogazione parlamentare ai ministri di Esteri e Difesa riguardo la vita extraterrestre nel cosmo.
Cattaneo ne dà un succoso resoconto nel suo post del 7 gennaio, menzionando i primi firmatari, onorevoli Vatinno e Barbato, entrambi eletti con l'IDV (perché Scilipoti da solo non era abbastanza). L'interrogazione chiede "se l’Italia disponga e dove di eventuali strutture delle Forze armate o di altri Corpi dello Stato dediti allo studio del fenomeno ufologico, se siano stati prodotti documenti e relazioni riservati in ambito nazionale o Nato, se infine in Italia si possa prevedere la creazione di una struttura dedicata munita dei requisiti di trasparenza pubblica". Un Ente Pubblico non si nega a nessuno.

Qui il post di Cattaneo

L'onorevole Vatinno, che è un fisico, risponde tutto piccato nei commenti del blog, approfittando pure per fare pubblicità a un suo libro sul Tutto e sul Nulla (nota della Lina Sotis che c'è in me: ma che caduta di stile, poffarbacco!) e asserendo che il primo ministro russo Medvedev gli aveva personalmente confermato le notizie; e quindi conciona, il Vatinno: gli ufo ci sono! vorrai mica dubitare! l'hanno detto tutti! Anche Reagan, testimonia Shirley McLaine! Anche il Duce, e qui non ho nemmeno citato la fonte principale! e poi non stavo parlando di omini verdi, però cioè in realtà sì, cioè no, ma che mi fai dire? Brutto Cattaneo! Cattivo! Maestra, ce l'ha con me. Uffa!

Per chi non si ricordasse, la burla di Medvedev era questa.
Guarda sul tubo

Non ho potuto fare a meno e ho risposto. Il commento figura tra quelli del blog, ma lo riporto anche qui.


Onorevole Vatinno, non capisco il motivo della Sua stizza: è vero che il Suo libro non è mai stato recensito, probabilmente perdendosi tra qualche nota spuria di Hawking, ma per quanto riguarda il casus belli ho letto l’interrogazione parlamentare e il resoconto che Cattaneo ne fa è fedele. E guardi che parlo con cognizione di causa perché le mie iniziali sono E.T. e ciò fa di me un riferimento in materia, seppur ortograficamente biased.
In tali vesti non dubito che la testimonianza ufologica di Shirley McLaine sia da ritenersi una base autorevole per istituire adeguati piani di difesa, ma vorrei sottoporre alla Sua attenzione dei quesiti che l’interrogazione parlamentare da Lei sottoscritta lascia drammaticamente inevasi.
 
1. nel caso i contatti con realtà extraterrestri si rivelassero nefasti come in “Mars Attacks”, è stata predisposta una colonna sonora per debellare l’invasore alieno? Non potendo in Italia vantare una tradizione di musica country, la sostituzione con i cori degli Alpini è ritenuta possibile?
2. sono state studiate a sufficienza le puntate del programma radiofonico “La guerra dei mondi”?
3. è già stata stanziata la spesa che porterà, con i soldi dei contribuenti, un’adeguata delegazione di parlamentari italiani a fare uno stage a Roswell?
4. Chi pagherà le eventuali telefonate con gli alieni? Spielberg o Giacobbo?
5. Soprattutto: in tempi drammatici di crisi e di spending review, quanto costerà all’erario la consulenza degli agenti Mulder e Scully?
 
RingraziandoLa in anticipo per l’attenzione, Le porgo i miei terrestri saluti.
Lunga vita e prosperità.
E.T.