domenica 29 marzo 2015

All together now

All together now

(remix di endecasillabi, nonché modo scemo per trascorrere la domenica pomeriggio)


D’in su la vetta de la torre antica
alteramente io parlo e penso e scrivo:
non sempre il tempo la beltà cancella,
né più mai toccherò le sacre sponde.
La madre or sol, suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
cicio, nerbo, tortore, pennarolo,
tu, solingo augellin venuto a sera
del passegger che il suo cammin ripiglia:
molto egli oprò col senno e con la mano.
Questo di sette è il più gradito giorno.
Sommesso e lieve il tripudiar dell’onde,
quasi colombe dal disìo chiamate;
io venia pien d’angoscia a rimirarti.
Questa anima gentil che si diparte 
non son, non sono io quel che paio in viso!  
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
chi la chiama vergogna, e chi natura.
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie.
E adesso siediti su quella seggiola.










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Versi e autori: 

Titolo: J. Lennon, P. Mccartney, All together now, 1969

1. G. Leopardi, Il passero solitario
2. A. Manzoni, Alla sua donna
3. A. De Amicis, A mia madre
4. U. Foscolo, A Zacinto
5,6: U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni
7. G. Leopardi, La quiete dopo la tempesta
8. G.G. Belli, Il padre de li santi
9. G. Leopardi, Il passero solitario
10. G. Leopardi, La quiete dopo la tempesta
11. T. Tasso, Gerusalemme Liberata, canto I
12. G. Leopardi, Il sabato del villaggio
13. E.G. Gaeta, La leggenda del Piave
14. D. Alighieri, Inferno, canto V
15. G. Leopardi, Alla luna
16. F. Petrarca, Canzoniere, sonetto XXXI
17. L. Ariosto, Orlando furioso, canto XXIII
18. D. Alighieri, Inferno, canto V
19. G.G. Belli, La madre de le sante
20,21. G. D'Annunzio, La sera fiesolana
22. R. Cocciante, Bella senz'anima.

Remix: E. Tosato, che così non si affatica

sabato 28 marzo 2015

Equivalenze

L'arte infiocchetta di parole inutili concetti esprimibili altrimenti con maggiore puntualità. Essa è, pertanto, degenerata e abominevole. Sia anatema! A cosa servono le metafore? A cosa gli espedienti retorici? A cosa l'armonia, la visione d'insieme, i richiami ad altre opere, al mito, all'ineluttabilità della natura umana?
Pussa via! L'importante è comunicare il concetto.
Si consideri ad esempio la perfetta equivalenza tra questo sonetto e la sua versione originale.



Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella qui m'invoca
che fa tremar la mia area di Broca
e la corteccia visiva turbare.

Ella si va, sentendosi laudare,
a rilasciar dopamina che infoca:
e se vi par che la cosa sia poca,
pure d'estrogeni non vuol mancare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira
che vien l'ipofisi con l'ossitocina
e intender no lo può chi no lo prova:

e par che da la sua labia si mova
cogenza a stimolarmi l'endorfina
che 'l cerebro rilascia e si sospira.

lunedì 23 marzo 2015

Xylella furiosa

I fatti in breve: in una zona del Salento da qualche tempo alcuni ulivi si seccano e muoiono. Stando alle analisi sono stati attaccati da un batterio, Xylella fastidiosa, che - pare, non si sa se da solo o in concomitanza con altri fattori - ne provoca per l'appunto l'essiccamento e la morte. L'infestazione di questo batterio non è cosa recente, in California fa danni alla vite da almeno cent'anni; tuttavia in Italia Xylella fastidiosa è arrivata da poco e, comunque, non si conosce un farmaco per arginarla. 
Qui un articolo più accurato sul sito di Italia Unita per la Scienza.
Quello che, in condizioni normali, sarebbe un problema agricolo, politico e di fitopatologia abbastanza rilevante, s'è trasformato però - as usual - anche nell'opportunità per vedere subdole macchinazioni di multinazionali che tramano per soppiantare l'ulivo salentino con (peraltro inesistenti) ulivi ogm sperimentati in Israele, fantomatiche trattative tra lo Stato e Big Pharma, potenze straniere e scienziati pazzi, in un climax che non si sa bene dove porterà, però intanto è bello da raccontare, è poesia e propaganda.

Il pensiero magico e superstizioso è in grande diffusione e non aiuta a mantenere un approccio razionale e sereno; né, bisogna ammetterlo, aiuta vivere in un Paese che tuttora galleggia sui miasmi irrisolti di un passato che non passa fatto di servizi deviati, mafia, terrorismo, teorie sul cedimento strutturale e bomba a bordo, piani di rinascita democratica, scandali IOR, stragi che scandiscono gli inesausti tentativi di diventare un paese civile, pezzi di Antistato che si fanno Stato e viceversa. 

A questo punto in molti scatta l'istinto di alzare pasolinianamente il dito e tuonare: "Io so". Viviamo ossessionati dal Grande Vecchio anche quando il Grande Vecchio non c'è, o non necessariamente c'è, o in quel momento è in bagno: dev'essere, in fondo, un modo di esorcizzare la paura di sentirsi totalmente impotenti di fronte a quello che succede al mondo. Peccato che ciò diventi un perfetto boomerang, che sia cioè il modo ottimale per non fare niente, illudendosi di aver fatto qualcosa, diventando la caricatura di se stessi e gettando discredito su quel che si fa di buono.
Com'è parimenti grande tradizione italica: facite ammuina.

A me è scattato l'istinto di mettere il tutto in versi, calandomi nei panni d'uno di questi aedi dell'eterno complotto, e data l'epicità dell'evento bisognava usare le ottave.


Xylella furiosa

Stralcio di poema eroico in ottave


Di donne e Cavalier l’incauti amori,
di queste audaci imprese un dì fu il canto;
ma, poi che il gran tempo di quei rancori
trapassa inesorabile, di tanto
seguendo l’ire ed i global furori
il cor cerca la pugna con Monsanto
con l’innomato massonico piano
e con chi angustia il popolo sovrano.

Dirò d’Apulia in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per un germe d’alchemìa misfatto
nato tra i maghi che plasman l’enzima
giace l’ulivo ritorto e contratto
e non v’è ingegno che salvar lo stima,
né ci sarà pel suo tronco concesso
addivenire a regolar processo.

Primo, dico, fu 'l germe nella vigna
di là dei mari ov’è terra che trema:
natura fe’ sì ‘nconsulta e maligna
che va a prolificar nello xilema
e la pianta vi muore; più s’indigna
il cultor della sua vigna che scema,
quando vede frinir la Cicalina
ch’è di quel germe latrice meschina.

Ma per quei mari in eterna procella
quivi s’è volto il supremo periglio:
con il nome foresto di Xylella
sciamando nel Salento fa scompiglio
dell’ulivo che mozza e poi sbrindella.
Pave l’umano e tremando bisbiglia,
crollar mirando quell’albero antico:
v’è forse l’arma d’oscuro nemico?

È infatti noto che d’ogni ferita
dir si può se sia fatta di natura:
e poi che la Xylella sembra uscita
da mano umana sprezzante e sicura
che paga, forgia e pur vende la vita
nulla ipotesi qui più si trascura
finché si smascheri quest’empio zelo
ch’è pari a quel che di scie colma il cielo.

Ov’è Monsanto, si sa, v’è brevetto;
ov’è brevetto, son sgherri europei;
ov’è l’Europa, v’è infausto precetto
che va sconfitto cantando in cortei;
non basta: in questo caso maledetto
par sia complotto d’ulivi giudei!
Sorga il popol che qui truce mugugna:
pel fato e la taranta, sodali, alla pugna!

La Forestale fra i geni s’educe;
ecco v’è pur la procura che indaga;
presto il perito che ‘l fine deduce,
tosto si conti chi compra e chi paga,
alfin sia fatta chiarissima luce
sulla funesta e loschissima piaga:
ma della lotta la massima parte
sia delegata ai fulgori dell’Arte;

ché pensare l’ulivi tutti morti
uccisi dalla mano che moneta
pagò pubblica per conto dei forti
è grande suggestione d’un poeta
e sono dei poeti quelle sorti
di pensar ch’ogni cosa sia segreta:
consolazione sia il verso per noi
che forgia trame per renderci eroi.




©Elena Tosato (con la gradita partecipazione del signor L. Ariosto per un paio di versi)

martedì 17 marzo 2015

Capodogli alessandrini

Niente, oggi è andata così.

Lo stesso di prima, in versi alessandrini.



Così cominceremo: | chiamatemi Ismaele.
Questa è la storia antica | di me che in tal passato
non ebbi fra le tasche | più che un soldo bucato
e, privo d’interessi, | volsi a spiegar le vele.

È il mondo fatto d’acqua | la giusta soluzione
se il cuor va taciturno | e s’immalinconisce;
pei mari il navigare, | non sia chi si stupisce,
acquieta di rimando | la mia circolazione.

Se mai mi vien sospetto | d’avere messo il muso;
se mai mi va nel petto | lo scorno dell’intriso
novembre in tante piogge; | se pur ristagna il viso
dinanzi al vespillone | dei morti a seguir l’uso;

e in special modo quando | un nero umor m’invade
tanto che mi trattiene | solo la mia morale
dal battagliar col mondo | e invero far del male
a quanti più cappelli | incontro per le strade;

d’andar per mare quindi | sento che l’ora è questa.
Lo pongo a sostituto, | l’andar per mare, dico,
della pistola al petto, | del colpo a me nemico;
chi dee partire, parta: | pazienza per chi resta.

S'arrovellò Catone | con gran filosofia;
alfine sulla spada | gettò il suo cuor risolto.
Io cheto pur rimango, | altrove mi rivolto,
m’imbarco e non v’è nulla | che straordinario sia.

Se sol sapesse l’uomo | di questo usato vezzo
chiunque a proprio modo | chi presto e pur chi poi
farebbe invero quello | che dobbiam fare noi:
nei sentimenti il mare | per tutti ha un solo prezzo.

Lipogrammi e Capodogli

Lipogrammi sull'incipit di Moby Dick

Un lipogramma è un testo in cui non può essere usata una determinata lettera dell'alfabeto.
Siccome di questi giorni, si sarà capito, mi gira di fare esercizi di stile, oggi va di lipogrammi vocalici, uno per ogni vocale. Sì, quello in U era pure troppo facile, l'ho messo giusto per completezza.
Come testo base ho scelto uno degli attacchi più celebri di sempre, qui presentato nella traduzione di Pina Sergi per l'edizione BUR 2004.


L'originale
Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa — non importa ch'io vi dica quanti — avendo poco o punto denaro in tasca e niente che particolarmente m'interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per un po', e di vedere così la parte acquea del mondo. Faccio in questo modo, io, per cacciar la malinconia e regolare la circolazione. Ogniqualvolta mi accorgo di mettere il muso; ogniqualvolta giunge sull'anima mia un umido e piovoso novembre; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie di pompe funebri o pronto a far da coda a ogni funerale che incontro; e specialmente ogniqualvolta l'umor nero mi invade a tal punto che soltanto un saldo principio morale può trattenermi dall'andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente — allora reputo sia giunto per me il momento di prendere al più presto il mare. Questo è il sostituto che io trovo a pistola e pallottola. Con un ghirigoro filosofico Catone si getta sulla spada; io, quietamente, mi imbarco. Non c'è niente di straordinario in questo. Basterebbe che lo conoscessero appena un poco, e quasi tutti gli uomini, una volta o l'altra, ciascuno a suo modo, si accorgerebbero di nutrire per l'oceano su per giù gli stessi sentimenti miei.


Lipogramma in A
Mi prendo un nome biblico d’uomo retto e profetico. Fu in un tempo indefinito che io, con pochi soldi invero e niente che fosse di mio precipuo interesse su questi lidi, ebbi il pensiero di togliermi di torno per prendere le vele e vedere così il profilo non terrestre del mondo. È il mio modo, questo, per sfuggire l’umore cupo e rendere miti i colpi del cuore. Se mi sento di mettere il muso; se mi giunge in petto un umido e piovoso novembre; se mi sorprendo fermo, pur non volendolo, presso le botteghe dei becchini o pronto nel seguire ogni servizio funebre che incontro; e in specie se l’umor nero mi si diffonde dentro sicché solo un solido principio etico mi impedisce di correre per le vie col preciso e metodico intento di togliere il berretto delle genti - dunque reputo giunto per me il momento di coinvolgermi nel destino equoreo. Questo è il sostituto che io trovo per l’ipotesi di un revolver diretto, di mio pugno, contro di me. Con un ghirigoro filosofico l’Uticense si gettò sul proprio ferro; io, quieto, vo sulle vele. Non c’è niente di inconsueto in questo. Se solo gli uomini ne fossero consci un pochino, pressoché tutti un giorno, ognuno secondo il suo modo, si renderebbero conto di nutrire per il ponto su per giù gli stessi sentimenti miei.


Lipogramma in E
Da voi sarò chiamato così: figlio di Abramo, mi partorì la sua schiava Agar. Alcuni anni fa - non importa ch’io vi dica quanti - con pochi soldi in tasca, con nulla a dirmi di star a riva ancora, ragionai di andar sull’onda un po’, a cacciar la malinconia, con l’animo in fondo placato. Ogniqualvolta mi accorgo di immusonirmi; ogniqualvolta m’arriva sull’anima un umido autunno piovoso; ogniqualvolta m’accorgo di star lì, immoto, dinnanzi a chi si occupa d’aggiustar sudari sui morti, o pronto a far da coda ad ogni rito mortuario sulla mia strada; soprattutto ogniqualvolta l’umor cupo mi sopraffà tanto; in tal modo solo un saldo principio di costumi mi scampa dall’andar giù con il proposito calcolato, ordinato, di far rotolar via il basco dalla altrui zucca, -- allora immagino sia giunta la mia ora di andar sull’onda incontro ai capodogli. Così sublimo la mancanza di una pistola, la mancanza di una pallottola. Con un ghirigoro filosofico Marco Porcio, lo stoico, si lanciò sulla spada; io, tranquillo, m’imbarco. Nulla di straordinario in tutto ciò, giuro. Una minor ignoranza sul fatto, bisogna ci sia: così a quasi gli uomini, una volta o l’altra, ciascuno a suo modo, l’acqua darà un afflato pari a quanto provato dal sottoscritto.


Lipogramma in I
Col nome del profeta nato da Abramo e da Agar sarò detto nel mondo. Qualche anno fa - un numero che non conta, ve lo tacerò - avendo poco o punto denaro nelle tasche e nulla a terra che troppo toccasse questo cuore, fu per me naturale quel sogno, o quella credenza, dello stare sulla nave, almeno per un po’, e avvalermene per vedere la parte acquea del mondo. È un saldo parere che ho, questo, per allontanare un malumore e regolare la flemma. Quando sento che ho un muso lungo; quando nel cuore tocca un novembre bagnato e stretto dall’acqua delle nuvole; quando sento che sono fermo, senza volerlo, lo sguardo frontale sulle botteghe delle casse da morto, o sono sempre pronto a far da coda a un funerale che non so eludere; e soprattutto quando l’umor nero fa la voce grossa a tal punto che solo un saldo postulato morale può fare tanto che non vada per le strade con lo scopo consapevole e regolare del levare la coppola o la bombetta dalla testa della gente -- allora reputo pronto, per me, quel momento opportuno che afferma: va’ per mare, celermente. Con questa trovata surrogo la mancanza del revolver e della pallottola. Con un escamotage da scaltro teoreta Catone s’era gettato sulla spada; del tutto calmo, quest’uomo che sta raccontando se stesso al lettore, va per mare. Nel fare e nel raccontare questo, nulla è anomalo. Basterebbe che lo conoscessero un poco, e pressoché tutte le persone, una volta o l’altra, ognuna a suo modo, comprenderebbero che nutrono per l’oceano grossomodo quello che sente l’estensore del presente racconto.


Lipogramma in O
Chiamatemi Ismaele. Parecchi mesi fa - pazienza se trascurerete quanti - immaginate le mie tasche quasi prive di denari e la mia mente quasi priva di interessi per quel che c’era a terra, pensai di mettermi a navigare qua e là, e di vedere in tal guisa la parte acquea del pianeta. È questa la mia maniera per cacciare l’uggia e dare una registrata al sangue. Se mi prende un’immagine di me in cui la mia vita si vede incupire a dismisura; se giunge sull’anima mia un’acqua pluviale cruda ed autunnale; se questa stessa anima si vede ferma, senza averne avuti gli intenti, davanti alle agenzie dei becchini, lesta a mettersi a seguire tutti i funerali in cui incappa; e specialmente se la mestizia mi invade a tal maniera che appena una salda linea etica difensiva mi trattiene dall’andare per le vie e di instillarmi la deliberata e puntuale idea di levare i cappelli di testa alla gente -- dunque è bene che capisca che per me è l’istante ideale per prendere il mare prima che sia tardi. È la mia alternativa all’eventualità di spararmi. Si fece dei lambiccamenti mentali terribili, l’Uticese, prima di lanciarsi sulla spada: per me, è più facile imbarcarmi, in tutta calma. Nulla di eclatante in questa vicenda. Basterebbe che se ne sapesse appena quel che serve, e per quasi tutte le genti, chi nell’età attuale chi in altre, chi in una maniera e chi in una diversa, vi sarebbe l’immagine netta di nutrire per il mare su per giù gli stessi sentimenti miei.


Lipogramma in U
Chiamatemi Ismaele. Anni fa - non importa che io faccia il conto esatto del tempo trascorso - avendo poco denaro in tasca, o forse non avendone affatto, e non avendo del resto niente che particolarmente m’interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per del tempo indefinito, e di vedere così la parte marina del mondo. Faccio così, io, per cacciare la malinconia e regolare la circolazione. Se mi accorgo di mettere il broncio; se arriva alla mia anima l’aria intrisa di pioggia di novembre; se mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie dei beccamorti, o pronto a far da coda al primo corteo che incontro che scorti delle bare; e specialmente se la tristezza e la disarmonia mi invadono tanto che solo dei saldi principi morali riescono a trattenermi dall’andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente - allora ritengo che sia arrivato per le il momento di prendere al più presto il mare. Così mi arrangio io, per non avere sotto mano pistola e pallottola. Con dei ghirigori filosofici Catone si getta sopra la spada e se ne fa attraversare; io, con calma, mi imbarco. Non c’è niente di straordinario in ciò. Basterebbe che ne conoscessero a conoscenza anche solo in minima parte, e pressoché ogni persona, prima o poi, a proprio modo, si accorgerebbe di provare nei confronti dell’oceano grossomodo gli stessi sentimenti miei. 

lunedì 16 marzo 2015

Lepida Letteratura Lombarda

Tautogramma in L



Lepida Letteratura Lombarda

Lago Lario, lassù, lidi lambisce.

Lestofanti, latori lettera lapidaria, latrano: “Lei! Legga!”
Labile liturgico legge:
“Lorenzo, Lucia, lambiccano lecito legame: leva loro la licenza! 
Libidinoso lusitano.”

Lorenzo lamentasi legalmente: leguleio lo liquida leggiucchiando latinorum.

Lucia, lacrimando, localizzasi lontano, Lambro limitrofa; la lusinga Lady lubrica (lasciò la laicità: lussuriosa, limonò lazzarone; lurida liaison, lui lapidò lodevole lattonzola). 

Ladro Latente, lucido lenone, limita Lucia: labirinto la lega. 
Lui, lasso, lenito, lascia la lesiva lametta; lei, la libera la Laudata Luminosa. 

Lanzichenecchi lottano; linfonodi lievitano, liberando liqidi lutescenti. Lì, lazzaretto! Libidinoso lusitano laido langue, lacerato, livellato. 


Lorenzo, Lucia, lesti, legittimamente legansi. 
Libiamo.

domenica 15 marzo 2015

Un inferno infinito

Remix. 


Un inferno infinito

Sempre cara mi fu quest'età media,
e questa selva, che da tanta parte
del retto mio cammino il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando interminate
piagge di là del monte, sovrumane
son belve, son la magrissima lupa,
il leone e la lonza; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito maligno a questa voce
vo comparando: e mi sovvien Virgilio,
le sue morte stagioni, e la presente
e viva, e il veltro poi. Così tra questa
grand'empietà s'avanza il duca mio:
lasciate ogni speranza in questo male.


Lyrics: D. Alighieri, G. Leopardi
DJ Set: Elena Tosato, alla consolle

giovedì 12 marzo 2015

Three in a row

Programma

Si tacciono le trombe di rivolta,
finché morente nella quiete schiocca
la tremula fanfara del ricordo,
e muto dalla terra
s’alza un muro inespresso di parole:
la nuda voce morde
genti da comparare
e polmoni che sfiatano distorti
dall’aria dell’inverno
che alla fine sta scivolando via.
Nelle strade che corrono strappate
dai passi miei convulsi
nascono grossi fiori 
che bucano la primavera inerme
e questa notte chiara, 
che tutto ricopre meravigliosa,
rallenta; abbacinante
si posa la memoria
sui passi e sulle voci
grave chiamando, e festosa, domani.


Inverno

Già cade neve di cui non sospetto
peso né forma; pallida sospende
l’aria d’intorno che tacita vende
un tempo rotto in minuti. Dispetto
s’è fatta l’attesa. Ronza nel petto
la pazienza dei vinti che non prende
la via del fiato: lanugine scende
dall’ansa dei ricordi e muore a getto.
Va, quest’inverno latente, rotaia
ch’è diretta a un domani rapace:
ghiaccia nel grigio dei miei solitari
giorni, sembra che sorda vi scompaia
la luna nella notte, mentre tace
la nebbia che appassisce sopra i mari.



L’estate del mendico

Mi cuoce un caldo grasso, senza odore:
pelle di cera bollita non dorme.
Il sole è un unico numero enorme
che strizza l’acqua in esausto vapore
e tutto conta: l’ombre lunghe more
che sgusciano imperfette dalle forme
dei corpi vuoti, cave sono l’orme
che infestano la spiaggia come spore
d’umana pianta. La travalicante
gobba dell’onda supina s’affloscia
e rende l’immutato esilio estivo
solo un’infelicità galleggiante
che frusta, come sale sulla coscia,
l’ansia d’amore di chi più n’è privo.



[ET dic2014-mar2015]

martedì 10 marzo 2015

Il tempo è galantuomo

Il Novecento è stato un secolo ossessionato dal concetto di Tempo, fino a subire lo smacco della definizione Hobsbawniana di Secolo Breve: ma di tempi se ne sono visti di tutti i tipi, e spesso erano pensieri incredibilmente profondi.
Qualche esempio in ordine sparso tra i primi che mi vengono in mente:

- il tempo perduto di Marcel Proust
- il tempo nella misura della complessità di un algoritmo
(O grande, O grande, O grande come te sei O grande solamente tu, cantava Mina programmando)
- il tempo come parametro, non come osservabile, in meccanica quantistica non relativistica
- il tempo come dimensione del cronotopo nella teoria della relatività, e i relativi paradossi
- i problemi sull'origine dell'universo in cosmologia
- le speculazioni sulle teorie fondamentali che non contengono il tempo
- la valorizzazione economica del concetto di tempo libero
- lo studio sull'accorciamento dei telomeri
- "Suonala Sam. Suona Mentre il tempo passa."


... eppure c'è ancora chi ritiene che nel Novecento le cose più interessanti su questo concetto le abbia dette Heidegger con il suo tempo come modalità dell'esserci dell'essere.
Il tempo è un trattino rosa tra le parole Da-Sein.

Che dire. Diamo tempo al tempo.


venerdì 6 marzo 2015

Riassunto delle puntate precedenti

Nel caso vi foste persi qualcosa della mia vita recente, cliccate pure qui

il naso nei libri

<<La lettura di un libro è un’arte che, almeno per chi ci vede a sufficienza, coinvolge principalmente gli occhi. Se pensiamo alla tradizione orale che sta alla base della narrazione scritta, coinvolge anche le orecchie e la bocca; se includiamo il tatto, per chi legge con le mani e per chi, leggendo con gli occhi, scorre le dita voluttuosamente tra le pagine (o le striscia sul tablet) alla ricerca della prossima emozione, abbiamo quasi chiuso il cerchio dei sensi.
E il naso? Possibile che, in riferimento al libro, sia solo il posto dove appoggiare gli eventuali occhiali? Che ha il naso che non va? Non è forse vero che si legge anche per imparare a guardare più in là del proprio naso? È forse la letteratura una manifestazione culturale dell’anosmia? [...]>>

Dottor Vian e Mister Sullivan

<<Gli esseri umani sono affascinati dalla simmetria. In natura i principi di conservazione sono intrinsecamente legati a proprietà di simmetria delle leggi che descrivono i sistemi fisici; e anche in letteratura le simmetrie giocano un ruolo interessante.
Prendiamo ad esempio la specularità: il tema del doppio ha solleticato gli autori d’ogni tempo. Si va dal doppio in personaggi distinti, come nei “Menecmi” di Plauto o ne “La dodicesima notte” di Shakespeare, al doppio nello stesso personaggio, come ne “Il sosia” di Dostoevskij o ne “Lo strano caso del Dottor Jeckyll e Mr. Hyde” di Stevenson. Può essere l’autore stesso che gioca con un suo doppio letterario: l’io è un altro, scriveva Rimbaud, e non si può non menzionare l’intreccio di vita e finzione tra Philip Roth e Nathan Zuckerman. [...]>>


A presto con altre mirabolanti avventure, o roba simile.