giovedì 12 novembre 2015

Aspirapolvere

Aspirapolvere


Ricorda i nomi parlanti delle commedie di Plauto. Tipo i personaggi, per dirne una, della Mostellaria: Filolachete, amico della sorte, Tranione, la trappola. L’Aspirapolvere entra in questo modo nel mio immaginario e diventa un personaggio vero e proprio, con la sua personalità, i suoi vizi, le sue speranze e la sua propensione all’azione incontrollata e convulsa che lo renderanno protagonista di incubi e leggende non meno che di solenni pulizie del pavimento.

Che poi, ci si chiede, che cos’è un nome. Quella che chiamiamo rosa anche con un altro nome non avrebbe un altro profumo, dice Giulietta costernata, e qualche secolo appresso ci si mettono i soliti filosofi a disquisire, cara Giulietta, c’è distinzione epistemologica e anche logica tra un nome proprio, che ha come significato l’oggetto che denota, e un nome inteso come descrizione ossia come espressione denotativa. Il che ha aggiunto complessità al mio rapporto con l’Aspirapolvere, ma l’immediatezza della sua forza evocatrice non ne è stata sminuita. E anche Romeo è rimasto Romeo e si sa che fine ha fatto.
Ma non perdiamoci in questioni secondarie. L’importante è che l’Aspirapolvere ora fa parte degli strumenti narrativi indispensabili, è concepibile attraverso la lettura del mito e della fiaba. Diventa così un oggetto iconico e un carattere. E questo è solo parte del problema. 

La funzione devastatrice dell’aspirapolvere è stata intaccata da Freddie Mercury che canta I want to break free 

e che ha desacralizzato, almeno a tratti, la pars destruens dell’orrido elettrodomestico, ma il problema non è stato eliminato.

C’è infatti da aggiungere la parte che riguarda il potere del mercato e delle sue leggi, la parte della persuasione anche occulta, della pubblicità, delle strategie di marketing, del subdolo tentacolo del capitalismo che si insinua nella quiete domestica attraverso i punti deboli dell’animo umano e che induce il consumatore alla fideizzazione coatta. Sì, insomma, la parte dell’aspirapolvere inteso come Folletto, e dell’ipercinetico ed entusiasta venditore che ne magnifica le sorti contendendosi il possesso del mio citofono con i dispensatori di posti numerati nel paradiso di Geova e con i melliflui sobillatori del mercato libero dell’energia a caccia di firme su contratti pieni di scritte piccole le cui copie, sono sicura, tappezzano le pareti delle Malebolge ("Noi ci partimmo, e su per le scalee / che n'avea fatto iborni a scender pria/ rimontò 'l duca mio e trasse mee / e disse: qui v'è l'Enel Energia", Dante, Inferno, XXVI, vv.13-16 o quasi); e lo fa scialando, al contempo, manciate non indispensabili di punti esclamativi e superlativi assoluti.

Io non lo voglio, il Folletto. Non voglio che mi fai una dimostrazione nel soggiorno, ce l’ho già un aspirapolvere, che poi il Folletto diventa anche l’emblema, non bastasse il fatto di essere un aspirapolvere, della comunità chiusa e settaria che non avrà altro aspirapolvere al di fuori di quello. 

Ma passiamo alla parte veramente terribile. Il rumore. Ora, sapete anche voi che il mugghiare disperato e infame di un aspirapolvere è quantomai vicino all’assenza di periodicità nel tempo e all’ampiezza costante su tutto lo spettro delle frequenze udibili dall’orecchio umano, ossia a quel che si dice rumore bianco. Il suo sputacchiare casuale di grida lancinanti è quindi, per me che sono alla costante ricerca sensoriale di schemi e sequenze e ordini, una sorta di sfida impossibile alla decrittazione, una tortura inesausta e senza morale, una condanna senza appello alla follia e al pianto.
Cioè, non facciamola così tragica: lo uso anche, l’aspirapolvere, ma per brevi periodi, tipo venti secondi, poi lo devo spegnere, fare una serie di respiri col diaframma, ommm ommm, quelle cose lì. E se lo sta usando qualcun altro, tendo a rifugiarmi nella stanza più lontana.

Ho scoperto che esistono su YouTube (non metterò il link) dei filmati il cui audio riproduce per tempi inusitatamente lunghi (mezz’ora, un’ora) il rumore dell’aspirapolvere. Dicono che serve per fare addormentare i neonati. Dicono che c’è anche gente che con questo tipo di rumore si calma. Si calma!
Secondo me se fate ascoltare un rumore del genere a un neonato quello vi cresce quantomeno imbizzarrito, ma è solo una mia impressione non suffragata da alcuna verifica sperimentale. Però io ve lo dico, ecco.

L’aspirapolvere in funzione, lancinante e morboso, sembra infatti aspirare l’intero universo. Rifugge dalle leggi fisiche solitamente intese per descrivere questo tipo di eventi anche se deforma lo spaziotempo circondandosi di un’ergosfera in cui è impossibile che io resti ferma e lasciando l’orizzonte degli eventi senza un filo di polvere. Per il resto è casuale, maligno, come certi allineamenti nei giochi di ruolo, e mi disturba dal profondo. 

Esso mi parla dei problemi dell’evoluzione della tecnica, della prospettiva della comparsa di un’etica nell’intelligenza artificiale e nelle macchine; esso è un severo monito che rievoca la volontà di potenza e la critica al positivismo; esso è uno stimolo narrativo (ancora!) a diramazioni distopiche e fantascientifiche. Esso scompagina la pretesa escatologica secondo cui polvere siamo e polvere ritorneremo, e per questo ne ammiro la forza. Il suo risucchio futurista, il suo clangore esacerbante, la sua pretesa bellica di igiene del mondo, però li rigetto. E tuttavia nel respingere un’impostazione reazionaria, antiscientifica, luddista e arcaica che vede nell’aspirapolvere una rappresentazione del fragore moderno e dell’inevitabile progresso mi sento a disagio.


Vivere è complicato.