sabato 23 aprile 2016

Beethoven e i cannoli di ricotta

Ieri sera mi sono trovata a pensare a una delle grandi questioni esistenziali di cui non ho mai capito niente, cioè la ricerca del potere fine a se stesso e il piacere che una persona ne può trarre. Per dire: House of Cards per me è off limits, sarebbe come mettere una bertuccia in un seminario di meccanica quantistica.
Come sempre accade quando non mi raccapezzo nella comprensione del reale, ho cercato una sponda e una consolazione ermeneutica nell’interpretazione del mondo data dalla letteratura e dalla filosofia, vale a dire che in questo caso mi sono messa a rimestare nei ricordi di Machiavelli e in quelli shakespeariani del Macbeth o del Riccardo III. Ne ho tratto qualche vacillante indicazione, ancora del tutto insufficiente per supplire alla mia incompatibilità strutturale, ma significativa per orientarmi quantomeno nei meccanismi del funzionamento di questa peculiarità antropologica.
Ho quindi cercato una chiave di lettura in senso utilitarista, magari il potere fine a se stesso serve in fondo a qualcosa d’altro, come i soldi, che uno dice che gli piacciono di per sé ma poi gli servono per comprare delle cose con cui si gratifica, tipo un sacco di libri o un viaggio da qualche parte. (È così, vero? ho inteso correttamente? vi prego)
Però mi ricordo che c’è un detto secondo il quale comandare sarebbe meglio che fottere, e io qua vado direttamente nel panico, perché è ovvio che quanto a gratificazione sensoriale e goduria pura il sesso se la gioca soltanto con robe come i cannoli di ricotta e la Nona di Beethoven, e comunque vince, e non vedo come il potere di per sé potrebbe surrogare la Nona di Beethoven o anche solo un cannolo di ricotta, figuriamoci il resto, e figuriamoci essere meglio. Quindi mi ritrovo da capo che non ci ho capito niente, e non bastasse, sono le cinque del mattino e sono sveglia da un’ora perché rimugino.
Per me la gente è strana.

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