martedì 11 dicembre 2018

L'ascensore

Sonetto caudato dell’ascensore bloccato con me dentro che portavo fuori l’immondizia
Nessuno sa quale sorte gli tocca.
Scendevo, calma e dolce, col bidone.
D’un tratto, solitario, uno scossone:
ed ecco l’ascensore che si blocca.
Il fiato si fa muto nella bocca;
suono l’allarme, la concitazione,
un primo inerme gruppo di persone
lì fuori che mi parla; quasi scocca
l’ora ferale, ch’è sempre temuta,
che svelle già il domani dal mio ieri!
Premo pulsanti, non scendo, non m’alzo,
considero l’orror della caduta,
poi spero nell’arrivo dei pompieri,
basterà l’aria? Si muove! Un sobbalzo!
Il piede mezzo scalzo
si scaglia avanti, vedi, s’apre un vano,
son viva! sulle scale! M’allontano.


Ieri sera ho trascorso un quarto d'ora in un ascensore di un metro per un metro, bloccata fra il primo piano e il piano terra, mentre 
- una vicina raccontava che era successo anche a suo figlio e a suo marito
- la stessa vicina, cadendo nella fallacia del tacchino induttivista, garantiva che fino a un momento prima l'ascensore aveva funzionato benissimo
- Antonino chiedeva come stavo e telefonava all'amministratore
- un'altra vicina mi dava istruzioni "premi i pulsanti, non si sa bene in quale combinazione, bisogna andare per tentativi"
- il marito dell'altra vicina, insieme ad Antonino, cercava di forzare le porte con un cacciavite e diceva "se riusciamo ad aprire le porte c'è un buco di mezzo metro per farla uscire" e io mi sono vista tranciata in due dall'ascensore imbizzarrito 
- e pugnalata dal cacciavite
- la vicina che mi dava istruzioni suggeriva di non forzare la porta che era peggio
- la vicina induttivista mi diceva di non preoccuparmi
- io intanto pensavo che se l'ascensore fosse caduto liberamente comunque non mi sarei fatta molto male perché c'erano sì e no tre metri fino a fine corsa, e che in ogni modo il gedankenexperiment dell'ascensore ha valore solo perché è un esperimento pensato, col cazzo che in una situazione reale uno si mette a pensare all'equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale
- c'è un racconto di Garcia Marquez in cui due rimangono bloccati in un ascensore e decidono di vivere lì e io al massimo avrei potuto vivere con un bidone dell'immondizia, perché la letteratura è bugiarda

mercoledì 21 novembre 2018

La letterina a Babbo Natale

Frattanto, mentre vana a quel governo
l’Europa raccomanda parsimonia,
arriva nei recessi di Lapponia
la lettera del Sire dell’Interno:

accluso, come omaggio, pure un selfie.
“Leggete” dice Babbo agli assistenti.
Aprendo la missiva, reticenti,
impressionati sospirano gli elfi:

“Babbo Natale, pur tu tra gli amici,
questo ti chiedo mi venga in regalo:
i neri in altri porti e senza scalo,
e se ci sono zingari felici

la ruspa me li cacci per le strade.
Nessuno che mi chieda, in ogni dove,
di quei milioni, ben quarantanove;
e se qualcuno le tasse le evade

venga lo sconto: così già mi piace”
Sbottano gli elfi, ricolmi di bile:
“Guarda che lingua mendace e servile!
Fanno il condono e lo chiamano pace!”

Leggono d’altre richieste e favori:
“Soltanto con la donna l’uomo scopa:
lo chiederei per legge. Poi, l’Europa:
ci sbatta lei per prima noi di fuori,

così le diamo colpa, e in primavera
possiamo fare il pieno d’altri voti.
Studenti, letterati, sacerdoti,
se vogliono gustarsi la galera

non hanno che da dirlo. Chi protesta
lo sbatto sopra i social per la gogna.
Ancora: se ci va di dir menzogna
si faccia sembrar vera. Che mi resta?

Ah! Prima il popolo, quello italiano,
cristiano, col presepe, sovranista:
che pensi che sia solo terrorista
chiunque si professi musulmano.

Infine, si cancelli quel valore
che dà per legge l’uscir d’ateneo.
T’attendo con affetto, tuo Matteo.”
Tacciono gli elfi, con grave timore.

Babbo Natale si passa sugli occhi
chiazzati e inumiditi dallo sdegno
la mano. Poi risponde: “Io m’impegno,
io che di solito tratto balocchi!

Di questa invereconda e triste lista
non una cosa avrai per Natale!
Nulla pietà per chi predica il male!

Solo dolore.” E si firma: “Buonista.”

martedì 13 novembre 2018

Giochi a somma sospetta

Ho questo problema coi giochi di società. Cioè, togliamo pure "giochi di", in fondo ho un problema con la società, ma anche con i giochi di società.
Si vedano i seguenti esempi.

A Monopoli (non qui, il gioco) mi viene fuori un insospettabile lato avido, capitalista, senza scrupoli e affarista che farebbe sembrare l'istituto bruno leoni un covo di trotzkisti, quindi mi vergogno e non gioco per paura di passare al lato oscuro.
Ho provato una volta a giocare a Scarabeo e mi hanno cacciato dal tavolo perché tiravo fuori un sacco di parole complicate.
A Trivial Pursuit la prima volta ho preso a contestare le domande e mi hanno cacciato anche da lì.
Nei giochi di ruolo mi viene l'ansia da prestazione.
Mi viene l'ansia da prestazione anche a tombola.
A Risiko comincio subito a proporre trattati di pace.
A carte, per carità a carte, c'è da fare la faccia del bluff e mi viene malissimo, soprattutto in giochi intrinsecamente malvagi come Dubito e Pampalugo.
Ciò mi fa concludere che devo rileggere con maggiore attenzione Huizinga e il suo Homo ludens.

venerdì 26 ottobre 2018

Sonetto dello stipite vigliacco

Sonetto dello stipite vigliacco

O stipite vigliacco che ti credi
protetto dalle grazie della notte!
Nascondi le tue mire galeotte
nel buio più nascosto degli arredi,

tu, legno maestoso, mai non cedi
a ben più molli e docili condotte,
sicché ti trovo ignara e sento rotte
l'ultime dita, ed inermi, dei piedi!

Dilacerando la notte già scura,
urlo ed invoco, con nomi inconsulti,
Dei e madonne in concorso di colpa!

Sollievo: non v'è traccia di frattura,
solo il dolore che sboccia in singulti,
la scossa tumescenza della polpa.

venerdì 19 ottobre 2018

Cose vecchie e cose nuove

Aggiornamento del blog

Cose nuove in arrivo:
Teoria dei canti, versione completa, sarà disponibile su Amazon da novembre (la data precisa è ancora in sospeso).
È un poema didascalico in terza rima sulla materia, sul numero e sulla parola. La prima parte l'avete già letta, forse, scaricandola gratis da queste pagine un paio di anni fa. L'opera completa sarà disponibile in cartaceo o in ebook per Kindle e, nonostante si tratti come allora del libro che ridefinisce il concetto di fuori mercato, sarà a pagamento.

Cose vecchie ancora lì:
Il virtuoso, romanzo, è sempre disponibile in cartaceo e in ebook (ebook gratuito per chi ordina il cartaceo).

[ordina su Amazon]

Cose vecchie in arrivo:
Entro gennaio sarà su Amazon anche Manuale di conversazione, per chi non lo avesse comprato nella sua prima edizione ormai esaurita.
A seguire, a breve scadenza, anche i vecchi versi di Elementi e i vecchi racconti di Cronache da un paese ipotetico.

Il resto continua a essere scaricabile gratis da questo blog.

A presto!

Elena

venerdì 3 agosto 2018

Sonetto schiumoso

Sonetto sul fatto che ho messo a lavare una maglia macchiata di bagnoschiuma e la lavatrice ha prodotto un blob imperituro, giacché dalle disgrazie è sempre bene trarre forme d'arte quantunque col titolo troppo lungo

Straborda, voracissima consuma
lo spazio in ogni minimo ritaglio,
al cieco, inesorabile sbaraglio;
deflagra, ma dolcissima profuma

nel mentre nel cestello mi s'inuma
mesto il bucato, gettato per sbaglio
col sovraccarico, quasi bagaglio,
d'una rigonfia, munifica schiuma.

A stento contenuta dentro un secchio
ottunde la violata lavatrice,
montata come fosse ferma neve

dal ratto vorticar dell'apparecchio:
la lingua non vuol dire ciò che dice.
Rincorro quest'immonda forma lieve.

lunedì 9 luglio 2018

Un'oretta

Mi telefona mio padre dalla montagna. Mio padre va spesso in montagna. "Sai dove sono stato oggi? Al rifugio Tre Scarperi. Ti ricordi il rifugio Tre Scarperi?"
E io mi ricordo, sì, mi ricordo. Mi ricordo che avevo otto anni o nove, e mio padre aveva portato me e un mio amico d'infanzia su al rifugio Tre Scarperi, in un volenteroso quanto inutile tentativo paideutico di farmi amare la montagna, a me la montagna piace solo quando canto i cori di montagna di ritorno dalla montagna con la prospettiva di stendere i piedi e riposarmi a casa mia in pianura, e la montagna poi mi fa tanto sanatorio di Davos, incanti, magie, guerre e tisi, insomma, ci portò su noi due bimbi tutti attrezzati e ordinati al rifugio Tre Scarperi. Il mio amico chiacchierava e faceva la radiocronaca della gita, mio padre guidava la spedizione, io meditavo sui massimi sistemi, non dico come quella volta anni dopo quando mi fece fare le gallerie del Pasubio e avevo l'unghia incarnita sia di qua che di là, e anche quel po' di claustrofobia tenuta a bada dai sensi di colpa perché ne erano morti a manciate dentro alle gallerie del Pasubio anche solo per scavarle mentre gli austriaci gli sparavano addosso; ma meditavo, ho sempre meditato molto anche da piccola, e guardavo le rocce, la vegetazione, l'aria limpida, un passo dietro l'altro, e risparmiavo il fiato solo per chiedere "Papà quanto manca?"
E mio padre s'inventò una misura del tempo plastica e proteiforme, un orologio molle di Dal gestito a parole, e disse che mancava un'oretta, e il tempo passava e mancava ancora un'oretta, e sempre un'oretta, e di nuovo un'oretta e questa cazzo di oretta del tempo perduto che meno male che non avevo ancora letto Proust. Che, infatti, andava al mare.
Poi arrivammo al rifugio, mangiammo, aspettammo -altre orette- che venisse sera e andammo a dormire in questa camerata spartana e ruvida come le cose di montagna, vi giuro che d'ora in poi leggo tutto Rigoni Stern ma fatemi riposare, e io non chiusi occhio perché c'era un altro escursionista che russava, però c'erano i letti a castello e, lo confesso, fu bello davvero.

domenica 8 luglio 2018

Sonetto anticolinergico

Sonetto anticolinergico

O spasmo, che durata aver perenne
minacci, giù strizzato nella pancia!
Cruento, quasi come quando in Francia
il fronte rantolava sulle Ardenne,

t'osservo e mi lamento; e pur indenne
io spero di sfuggirti. Qui si lancia
la voglia, qui la lingua già s'aggancia
al farmaco chiamato già per Enne

butilbromuro di scopolamina,
l'afferra questa gola, giù nel ventre
lo bramo, tormentato da quel crampo.

Compete già con l'acetilcolina;
ed io mi rassereno, in fra quel mentre

dal ruglio intestinale mi dà scampo.

mercoledì 20 giugno 2018

Blu asfalto

Blu asfalto

Anni fa, quando vivevo ancora a Padova, andai a comprare un paio di infradito. Ero incerta sul colore, per cui chiesi alla commessa che mi consigliasse. Dal momento che un paio di scarpe mi deve andare bene con tutto perché io odio comprare scarpe (certifico e garantisco comunque il mio essere donna), chiesi che mi indicasse un colore che fosse sufficientemente neutro da accompagnarsi con la maggior parte del mio guardaroba estivo (e che non mi costringesse a comprare vestiti nuovi, giacché io odio anche comprare vestiti, e continuo a garantire e certificare comunque il mio essere donna).
La commessa, molto gentile, mi mostrò un paio di sandali. "Sono blu asfalto" disse, "dovrebbero andare bene".
E io lì per lì stetti zitta, perché da quel po' che so, e che sapevo anche allora pur non avendo ancora cominciato a frequentare ingegneri edili, l'asfalto è grigio, non blu, ma sai mai cosa si nasconde nelle definizioni cromatiche del mondo della moda, quell'universo misterioso e magnifico in cui le gradazioni Pantone assumono nomi mistici di fiori, piante, emozioni e ombre di sogni perduti; e quindi annuii gravemente, e poi dissi che sì, potevano andare bene. Provai il numero, pagai e me ne tornai verso casa.
Solo che, mentre camminavo verso la fermata dell'autobus, questa cosa del blu asfalto continuava a rodere le debolezze delle mie compulsioni, per cui tirai fuori la scatola dal sacchetto e andai a vedere com'era definito il colore.

C'era scritto "basalto".

E io rimasi lì in mezzo alla strada, sotto il sole estivo, a pensare alla commessa dagli scarsi rudimenti geologici che aveva tentato di interpretare l'ignota parola alla luce delle sue conoscenze pregresse, in un mirabile sforzo di creazione di nuovi orizzonti verbali.

Fino a quando li ho dovuti buttare perché s'erano consumati, per me quei sandali sono rimasti blu asfalto.

venerdì 1 giugno 2018

I virgolettati

Uno dei grandi problemi della comunicazione politica è costituito dai virgolettati. La sintesi è un'arte necessaria ma insidiosa, non solo perché presuppone una grande capacità di analisi a monte, non solo perché può dare l'impressione di avere esaurito il discorso, ma perché la compressione del messaggio rischia di tagliarne fuori parti essenziali o sfumature non altrimenti riproducibili; spesso e volentieri, anche la complessità del ragionamento viene meno, magari mentre si ricerca la battuta ad effetto che rimanga impressa nel lettore e che poi si propaghi, acquistando vita propria e una propria nuova carica comunicativa.
Son qua che mi immagino i virgolettati con cui sarebbero stati trasmessi alcuni capolavori della letteratura mondiale.
"Domani smetto" [La coscienza di Zeno]
"Ma il treno dei desideri, dei miei pensieri all'incontrario va" [Anna Karenina]
"Bella zio!" [Amleto]
"Vado e torno" [Nuovo Testamento]

mercoledì 23 maggio 2018

Appunti dal Quirinale

23 maggio 2018
Il Presidente si appoggiò alla scrivania, intrecciò le mani e socchiuse gli occhi. Calava la sera sui palazzi di Roma; l'aria della primavera, al di là delle finestre, s'avvicendava senza fretta sui passanti ignari, sugli autobus derelitti, sui rancori e sulle risate.
Nella stanza c'erano solo loro due e un silenzio smorto, quasi innaturale. La tensione accumulata nel pomeriggio stava scemando.
Il Presidente rifletteva. La storia gli scorreva veloce nella testa, aggrovigliandosi di quando in quando, lasciando buchi nel tempo, soffermandosi per poi riprendere. Facce scomparse, passioni civili taciute, lunghi discorsi, tutto si accavallava, straripava dalle intermittenze della memoria.
Il Presidente ripensò a quanto aveva appena sentito. Che scherzi fa il destino, a volte, si diceva, a metterti di fronte all'imponderabile. Ripercorreva una ad una le parole che l'Altro gli aveva detto: abbellite, tremanti, cariche di aspettative, anch'esse piene di accelerazioni e di intoppi bruschi. 
Che fare, che fare, si diceva il Presidente. Riaprì gli occhi, quegli occhi azzurri che tanto avevano visto, tanto avevano capito. Guardò l'Altro, con gentilezza. Ci sono momenti nella vita di un paese, pensava. Ci sono momenti nella vita di un uomo. L'Altro stava lì, seduto. Aspettava. 
Il Presidente trasse un profondo respiro.
"Adesso metti via il quaderno e ridimmelo con parole tue."

lunedì 21 maggio 2018

Endecasillabi sul primo governo gialloverde

T'indovinavo scrutando gli stridi
di là dalle montagne ancora sporche
di neve mezza marcia e senza tempo
T'indovinavo nel ruglio del mare
gonfiato di presagi e di confini
E poi nell'inumana, lieve e tiepida
spensieratezza ch'è senza domani
covata dal rancore, chiacchiericcio
ch'è avido soltanto di se stesso
T'indovinavo guardando la mescita
sguaiata di figure d'insipienti,
nei fragili, ultimissimi dolenti
passaggi d'una danza di costume
Adesso so che arrivi senza fiato
e non c'è chi ti ferma o chi ti vuole
solo il bisogno di carta e parole
E, dici, farai presto, e qui t'aspetto,
Troika

sabato 21 aprile 2018

Il cinque maggio nudo

Apprendo che il 5 maggio è la giornata del giardinaggio nudista.
Mi stava quasi venendo un'ode.

Vien su! Siccome immobile
dentro il percorso agreste
stette la spoglia immemore
orba di tanta veste,
così, percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
nuda pensando all’intima
ora del coltivare:
né sa quando una simile
forma di chiappe chiare
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui rastrellante ignudo
vide il mio genio e tacque:
quando la braga inutile
cadde, si tolse e giacque,
di mille pelli al brivido
mista la sua non ha:
vergin di vaghi abiti
nel coltivar l’ortaggio,
sorge svestito e subito
facendo giardinaggio:
e porge all’aria natica
che forse altrui vedrà.
Con le vezzose gonadi
mondate pur dal tanga
tra quei cespugli impavido
tenea con sé la vanga;
sarchiò tra solchi e rivoli,
le fronde andò a potar.
Fu verde gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: poi
ai posteriori pure, massimi
fattori come noi
che vollero, con spirito,
svestiti coltivar.
Ed offre al vento l’inguine
privo d’un gran sostegno,
l’ansia d’un corpo indocile
che non si vede indegno!
E giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: diserba,
innaffia e poi concima
fa rotazion con l’erba
di quel che c’era prima,
si scuote dalla polvere
finché ne vuole arar.
Si cautelò dal tetano,
ch’è morbo mai placato:
le spore a lui si volsero
ma era vaccinato.
Ei si denuda ed arbitro
si chiede del pudor.
E gode, il dì nell’ozio
spendendo in queste lande,
pur con l’immensa invidia
di quei con le mutande,
l’inestinguibil odio
e l’indomato amor.

mercoledì 11 aprile 2018

Ghiaccio

Era estate, lei era giovane, be', più giovane di ora, era nella sua camera da letto, l'afa insopportabile, una casa senza aria condizionata, ed era tardi, un'ora indefinita, quel punto della notte in cui non badi più all'orologio e cominci a concentrarti su altre percezioni del tempo. E lei era sdraiata sul letto, e aveva caldo, e c'era lui di fianco a lei, ed erano svegli, ciascuno nella sua metà, col ventre sudato sul lenzuolo ormai impotente, la schiena esposta a qualsiasi velleità di brezza notturna che potesse entrare dalla finestra, e invece stagnava tutto, l'aria, il tempo, la notte, anche i pensieri. Ma erano giovani, e forse una volta erano stati anche innamorati, e li illuminava appena la luce arancione dei lampioni sulla strada, e qualche macchina passava lenta, in sottofondo, e il sonno non arrivava e si appiccicava alle palpebre senza chiuderle, e allora lei disse a lui di andare in cucina a prendere dei cubetti di ghiaccio, passameli sulla schiena, il caldo, la tensione esasperante dell'umidità non possono vincere la forza dei sensi, l'istinto e il desiderio sono più forti dell'afa e della noia, e lui si alzò e andò in cucina, e lei lo attese, lo attese, e sentiva distintamente la pelle della schiena che si imperlava di altro, avvilente sudore, il tempo che tornava ad avvolgersi sull'orologio, la luce arancione dei lampioni distanti; una volta, forse, erano stati innamorati. Infine lui tornò, e lei si era quasi addormentata, e il desiderio era colato via, nel lenzuolo, e lei gli chiese, hai preso il ghiaccio da passarmi voluttuosamente sulla schiena, e lui disse sì, e lei gli chiese, e perché ci hai messo così tanto, e lui disse allegro, già che c'ero ho visto la vaschetta del gelato e mi sono seduto a mangiarlo, adesso sto meglio, mi sono proprio rinfrescato.
L'ho lasciato poco dopo.

martedì 13 marzo 2018

Sonetti di Nepero

Due sonetti sulla costante e.


(1)

Fra due e tre, trascendente, mi trovo,
son base di funzione esponenziale
e poi del logaritmo naturale,
l’uno dell’altra l’inverso ritrovo.

A definirmi, volendo, mi provo
qual somma d’ogni enne fattoriale.
Quando m’elevo alla ics, so che vale
che, ad integrarmi, ritorno di nuovo

tale qual ero, e così in derivata
non val che d’altra forma faccia spreco.
Nel seno e nel coseno, disse Eulero,

per bene già mi so rappresentata:
e se m’elevo alla i per pi greco
aggiungo ancora uno e vi do zero.



(2)

Nel prendere un ennesimo più uno
alla potenza ennesima elevato,
il limite che venga calcolato
di questo strano ed innocuo raduno

per enne all’infinito, l’accomuno
al numero che “e” viene chiamato
e così definito e fabbricato
in modo che risulta opportuno.

Coi naturali spesso lo si dice
già nella stima asintotica: vale,
per quanto s’è fin qui bene capito,

rapporto d’enne con quella radice
ennesima di enne fattoriale,
ancora ragionando all’infinito.

domenica 25 febbraio 2018

Infiniti lipogrammi

Preservando gli endecasillabi, riscrivere L'infinito con cinque diversi lipogrammi.

Lipogramma in A
Sempre diletto fu quest’ermo colle,
così tu, siepe, che di buon conteggio
dell’ultimo orizzonte l’occhio escludi.
Però mi siedo e miro: non confini
vi son oltre le fronde, e non terreni
silenzi, e così stordente quïete:
io nel pensier mi fingo, ove per poco
nel cor non v’è terrore. E come il vento
odo stormir dentro le foglie, quello
infinito silenzio ed echi e voci
tutti confronto; e mi sovvien l’eterno,
e l’epoche pur morte, e questo tempo
vivo, col suono suo. Così qui dentro
l’immenso ben s’uccide il pensier mio:
nel fondo vien giù dolce in queste onde.

Lipogramma in E
In ogni anno cara la collina
mi fu, sì l’arbusto: di tanto lato
d’un ultimo traguardo monca l’occhio.
M’accoscio, già mirando sconfinati
spazi di là dal bosco, o sovrumana
la calma, sì profondissima, zitta:
in un ricordo infuso, tanto quasi
il cor mi si spaura. Quanto l’aria
odo stormir tra la boscaglia, tanto
l’infinito mutismo alla parola
vo comparando: ricordo il continuo,
o gli anni già morti, andati, l’oggi
vivo ancora: risuona. Così in una
infinità s’affoga il raziocinio:
un naufragar dolcissimo tra i flutti.

Lipogramma in I
A me fu sempre caro l’ermo colle
e quest’arbusto che da tanta parte
non fa osservare l’estremo traguardo.
Sedendo e contemplando questo luogo
senza bordo alcuno, e mal contenuta
calma pure, ch’è tanto penetrante,
sprofondo nella mente, ove per poco
non trema questo cuore. E come un vento
odo leggero tra le fronde, quella
pace ch’è senza pause a questa voce
vo comparando: ed ecco l’eterno,
l’età ch’è morta, e dopo la presente
e sana, e come suona. Ed è tra questa
grandezza che s’annega pur la mente,
e naufragare è dolce qua, nel mare.

Lipogramma in O
Sempre fedele fu l’altura esanime,
e questa siepe, che da tanta parte
del limite final la vista esclude.
Ma, da terra, vedi gli interminati
spazi di là da quella, ed inumani
silenzi, ed un’amplissima quïete:
e nel pensier vai giù, sì che pur quasi 
ti si spaura l’anima. Dei venti
senti frusciare tra le piante; quella
calma infinita e muta a questi fiati
vedi s’è simile; rimembri tempi
eterni, ed ere passate, e già quella
presente e viva che canta. Tra questa
immensità s’annega la mia mente:
e il naufragar m’è lieve in tale mare.

Lipogramma in U
Sempre caro m’è stato l’ermo colle, 
così la siepe, che da tanta parte
dell’orizzonte estremo l’occhio monda.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi al di là da lei, e mai terreni
silenzi, e poi profondissima pace
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor già non mi trema. E come il vento
odo stormire fra le piante, tale
infinito silenzio a detta voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, che canta. Così ben dentro
l’immensità s’annega il pensier mio:

inabissarsi dolce v’è nel mare.