sabato 21 aprile 2018

Il cinque maggio nudo

Apprendo che il 5 maggio è la giornata del giardinaggio nudista.
Mi stava quasi venendo un'ode.

Vien su! Siccome immobile
dentro il percorso agreste
stette la spoglia immemore
orba di tanta veste,
così, percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
nuda pensando all’intima
ora del coltivare:
né sa quando una simile
forma di chiappe chiare
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui rastrellante ignudo
vide il mio genio e tacque:
quando la braga inutile
cadde, si tolse e giacque,
di mille pelli al brivido
mista la sua non ha:
vergin di vaghi abiti
nel coltivar l’ortaggio,
sorge svestito e subito
facendo giardinaggio:
e porge all’aria natica
che forse altrui vedrà.
Con le vezzose gonadi
mondate pur dal tanga
tra quei cespugli impavido
tenea con sé la vanga;
sarchiò tra solchi e rivoli,
le fronde andò a potar.
Fu verde gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: poi
ai posteriori pure, massimi
fattori come noi
che vollero, con spirito,
svestiti coltivar.
Ed offre al vento l’inguine
privo d’un gran sostegno,
l’ansia d’un corpo indocile
che non si vede indegno!
E giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: diserba,
innaffia e poi concima
fa rotazion con l’erba
di quel che c’era prima,
si scuote dalla polvere
finché ne vuole arar.
Si cautelò dal tetano,
ch’è morbo mai placato:
le spore a lui si volsero
ma era vaccinato.
Ei si denuda ed arbitro
si chiede del pudor.
E gode, il dì nell’ozio
spendendo in queste lande,
pur con l’immensa invidia
di quei con le mutande,
l’inestinguibil odio
e l’indomato amor.

mercoledì 11 aprile 2018

Ghiaccio

Era estate, lei era giovane, be', più giovane di ora, era nella sua camera da letto, l'afa insopportabile, una casa senza aria condizionata, ed era tardi, un'ora indefinita, quel punto della notte in cui non badi più all'orologio e cominci a concentrarti su altre percezioni del tempo. E lei era sdraiata sul letto, e aveva caldo, e c'era lui di fianco a lei, ed erano svegli, ciascuno nella sua metà, col ventre sudato sul lenzuolo ormai impotente, la schiena esposta a qualsiasi velleità di brezza notturna che potesse entrare dalla finestra, e invece stagnava tutto, l'aria, il tempo, la notte, anche i pensieri. Ma erano giovani, e forse una volta erano stati anche innamorati, e li illuminava appena la luce arancione dei lampioni sulla strada, e qualche macchina passava lenta, in sottofondo, e il sonno non arrivava e si appiccicava alle palpebre senza chiuderle, e allora lei disse a lui di andare in cucina a prendere dei cubetti di ghiaccio, passameli sulla schiena, il caldo, la tensione esasperante dell'umidità non possono vincere la forza dei sensi, l'istinto e il desiderio sono più forti dell'afa e della noia, e lui si alzò e andò in cucina, e lei lo attese, lo attese, e sentiva distintamente la pelle della schiena che si imperlava di altro, avvilente sudore, il tempo che tornava ad avvolgersi sull'orologio, la luce arancione dei lampioni distanti; una volta, forse, erano stati innamorati. Infine lui tornò, e lei si era quasi addormentata, e il desiderio era colato via, nel lenzuolo, e lei gli chiese, hai preso il ghiaccio da passarmi voluttuosamente sulla schiena, e lui disse sì, e lei gli chiese, e perché ci hai messo così tanto, e lui disse allegro, già che c'ero ho visto la vaschetta del gelato e mi sono seduto a mangiarlo, adesso sto meglio, mi sono proprio rinfrescato.
L'ho lasciato poco dopo.